DI COSA PARLARE STASERA A CENA

La fuga di Carlos Ghosn e il caos in Libia

Giuseppe De Filippi

Idee e spunti per sapere quello che succede nel mondo selezionati per voi da Giuseppe De Filippi

La fuga di Carlos Ghosn ha il fascino del conte di Montecristo e quindi della sorpresa e dell'invisibilità nell'epoca ipercontrollata delle connessioni continue e inevitabili e del grande occhio elettronico. Ha stregato anche i foglianti esperti di cose orientali (per le questioni legate alla scarsa tutela giapponese) e dato spunto a chi scrive per scherzare sull'Italia.

 

 

Ma si muovono, in un domino giudiziario, anche varie autorità nazionali.

 

  

Mentre lui comunica.

 

    

Uno per tutti a rappresentare le inquietudini del Pd a proposito di prescrizione abolita.

  

    

Intanto in Francia quasi non scioperano più, passata la festa resta la riforma previdenziale (tratteranno, ma resta, e per Macron è una bella partita politica).

  

   

A proposito di trasporti qui arrivano le regole per i monopattini elettrici (chissà perché escluse bi-ruote parallele e mono ruota, quest'ultima di certo la più affascinante da veder passare). Andrea Giuricin era già avanti di qualche ruota e ne aveva scritto sul Foglio tempo fa invocando le regole e sembra molto soddisfatto se comincia parlando di città finalmente più libere. L'altro punto essenziale (particolarmente per le aziende che stanno cominciando a offrire il servizio di sharing dei monopattini urbani) è il rapporto tra queste forme di micromobilità o di mobilità puntuale (proprio da un punto esatto all'altro) e le grandi assi del trasporto pubblico e di quello privato. L'integrazione tra le tre forme dà un vantaggio enormemente superiore alla loro somma grezza. Per capirsi: auto privata lasciata in parcheggio di scambio, poi metropolitana per il centro e quindi monopattino per raggiungere destinazione esatta sono un tris che raggiunge la massima efficienza possibile.

  

 

Va bene, ci sono anche le espulsioni dai 5 stelle. Una vicenda grottesca dentro a un quadro ridicolo. Cacciare Gianluigi Paragone è cosa meno grave solo rispetto a un'altra decisione possibile (ma già presa) e cioè quella di candidare Paragone. Ma il punto importante è il futuro di chi resta, perché la questione aperta è palesemente quella della divisione delle spoglie elettorale dello storico 34% del 2018. L'unica cosa certa è che quegli elettori esistevano. Già sapere esattamente cosa volessero è difficile, ma si può approssimare dando loro più opzioni e soprattutto, per il campo del centrosinistra, cercando di contrastare l'offerta politica dell'altro populismo, quello salviniano. Razionalmente il Pd offre, grazie alla scelta (che è anche stata un sacrificio) di accordo con i 5 stelle, un voto in continuità con alcuni temi attribuiti al grillismo maturo. Nella convinzione che la vittoria elettorale e poi l'esperienza di governo dei due populismi abbiano impiantato nel confusionario nulla grillesco qualche seme di cultura politica e la frequentazione di qualche tema attribuibile in senso ampio alla visione della sinistra. Insomma il Pd prova a trattenere o a riprendere elettori con passato di sinistra e probabilmente riuscirà ad accaparrarsi una parte della torta grillina. Si potrebbe dire che il Pd e nel suo piccolo Leu e in qualche modo perfino Italia Viva stiano lavorando sulla continuità, quindi su un abbraccio sempre più consapevole con il mondo a 5 stelle di cui mostrarsi come bonari compagni di strada o almeno come corretti partner seppure in dissenso (i renziani). E così mandano un po' in tilt chi lavora, a modo suo, sulla continuità. Come, e torniamo a lui, Paragone. La sua difesa ora è quella dell'ortodossia: io sono più grillino di voi che mi cacciate. Ma non è un granché come difesa perché va a perdersi nello sgretolamento del consenso dopo il 4 marzo 2018. A chi si ritiene il più grillino del reame resta forse la soddisfazione di competere in quella disputa, di incaponirsi tra ricorsi e intervistacce polemiche, ma le spoglie andranno, con più probabilità, in altre direzioni, più o meno post grilline. A Paragone va, d'altronde, l'apprezzamento di Alessando Di Battista, ma entrambi sappiano che con i loro argomenti dovunque loro pensino di andare a innovare già c'era il Codacons lannuttiano e che quell'offerta politica, come la storia di Elio Lannutti insegna, ha sempre avuto bisogno di altri veicoli (Italia dei Valori, grillismo) da cui farsi dare un passaggio.

  

   

Che sia Giorgia Meloni a offrirsi stavolta di traghettare la parte destra della diaspore grillina? Nella sua continua competizione con Matteo Salvini il tentativo lo fa.

  

    

Inutile ora dare lezioni al governo italiano a cose libiche compromesse, anche perché la perdita di peso dell'Italia nello scacchiere libico comincia da prima di quanto si pensi.

   

  

Per gli ispanici alla Casa Bianca bisognerà aspettare ancora un po'.