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L'Italia di mezzo è depressa: non si fanno figli, non si partecipa alla politica. Numeri

Roberto Volpi

Regione simbolo di questo inabissamento nella malmostosità è la Toscana. E il centro della depressione è quello più nascosto, ignorato e decisivo

Roma. La cerniera tra il nord e il sud d’Italia, il fatidico centro, funziona sempre meno, perde colpi, risorse, energie, invecchia terribilmente, è apatico, svogliato, non si appassiona più a niente, tutto gli dà ombra. Regione simbolo di questo inabissamento nella malmostosità è la Toscana. E il centro della depressione è quello più nascosto, ignorato e decisivo: la popolazione, la demografia, con ancora una volta la Toscana all’avanguardia d’una involuzione di cui si trovano pochi esempi nel mondo, se si toglie la vicina e cugina Liguria, non a caso ormai sottratta del tutto ai vessilli politici che furono. Comunque, ecco, il centro vanta tutti questi primati tra le ripartizioni italiane: minore nuzialità, natalità e fecondità, più bassa proporzione di bambini e ragazzi di 0-14, maggiore indice di invecchiamento, più alta età media della popolazione. Serve altro, una volta che si sia detto che tutti questi indicatori sono praticamente dei record del mondo? Un mondo in cui sprofondano letteralmente città come Massa e Carrara, Livorno e Grosseto, del tutto inconsistenti sotto il profilo delle nascite e quindi nulle sotto l’aspetto più proficuamente vitale o vitalistico. A Carrara nel 2016 si sono registrate, su oltre 63 mila abitanti, 374 nascite, per un quoziente di natalità pari a 5,9 nati per mille abitanti: se l’Italia facesse figli come se ne fanno a Carrara, le nascite sarebbero 358 mila, invece delle 473 mila reali che pure costituiscono un record assoluto di “non” nascite.

 

L’Umbria è a sua volta lo specchio della Toscana, ma perfino le Marche dalla lunga speranza di vita si stanno vuotando di nascite e riempiendo di anziani e vecchi. Certo, c’è anche Roma, al centro, e Roma si è sempre tenuta ben saldamente sopra la boccheggiante natalità nazionale. Vero anche nel 2016, ma raggiunge appena le 8 nascite per mille abitanti (contro le 7,8 dell’Italia), cosicché perde alla grande, tanto per capirci, il confronto con Milano che arriva a 8,7 nascite per mille abitanti. Niente di eclatante, per carità, in Europa quasi non c’è grande città che non superi Milano. Ma questo passa il convento di casa nostra, niente.

 

I guai proseguono a cascata per il centro, quello demografico è soltanto il più ignorato, per quanto decisamente il più grave. Sul piano economico le cose non vanno affatto meglio. Il pil cresce razionalmente, ma al centro meno del Mezzogiorno, per non dire del nord-est. Peggio ancora va nell’occupazione, che cresce dell’1,3 per cento a livello nazionale, con una punta dell’1,8 nel nord-est ch’è tre volte esatte la crescita asfittica del centro: 0,6, meno della metà della crescita italiana, poco più della metà della crescita del Mezzogiorno (1 per cento).

 

Il reddito medio delle famiglie, è vero, si tiene ben sopra quello del Mezzogiorno e riesce a non perdere del tutto il contatto con il nord (rispetto al quale accusa comunque una differenza di circa l’8 per cento), ma soltanto perché la fonte di reddito familiare dovuta a pensioni e trasferimenti pubblici è pari a quella del nord, perché rispetto al nord il reddito familiare da lavoro dipendente è inferiore del 10 per cento, mentre il reddito familiare da lavoro autonomo riesce ad essere inferiore addirittura del 22 per cento rispetto a quello del nord-est e del 13 per cento a quello del nord-ovest. Anche il reddito famigliare ci dice che le cose reggono dalle parti di anziani e pensionati, molto meno da quelle dei produttori.

 

Regno una volta della partecipazione politica, ecco che oggi il centro del paese è costretto ad aggrapparsi a Roma. Ma i numeri sono sconfortanti. Tutti quelli dell’Italia lo sono, parlando di partecipazione politica, un pianto, uno strazio, ma quelli del centro si fanno raccomandare, in certo senso. Partecipazione a un comizio? Lo hanno fatto in 3,6 italiani su 100, nel 2016; nel centro 2,7, in Toscana 2,1. Quella a un corteo? Ha riguardato 4,3 italiani su 100; solo 4 al centro, che scendono a 3,2 in Toscana. Va meglio per l’ascolto di un dibattito in televisione: 17,7 per cento in Italia, 18,9 per cento al centro, con la Toscana che non si smentisce: 16,8. Soldi se ne danno più o meno nella stessa misura, ai partiti, cioè niente o quasi, ma al centro c’è stato un crollo micidiale: da 2,3 cittadini che hanno dato soldi a un partito nel 2015 si è scesi nel 2016 a 1,6. Disaffezione galoppante, da qualunque parti si guardi alla cosa.

 

E la fede come va?

Con la partecipazione religiosa si è invece a un classico, un dejà vu che si rinnova di anno in anno. Vanno in chiesa almeno una volta alla settimana, in Italia, 27,5 cittadini di oltre 6 anni su 100 (in calo da anni, nonostante il carisma di Papa Francesco), 22,9 su 100 al centro, valore che si “giova” del minimo abissale della Toscana: 17,2. Quanti non vanno mai in chiesa sono il 22,7 per cento (in aumento), il 26,1 al centro, per una volta superato sul filo di lana dal nord con il 26,7 per cento. Ma naturalmente c’è la Toscana con un inarrivabile 35,2 per cento, a mettere tutti d’accordo. 

 

Poi ci sono altri indici, va da sé: partecipazione a spettacoli, biglietti venduti di cinema e musei, acquisto di libri: va decisamente meglio, il centro torna a farsi sentire, la Toscana, con Firenze, svetta. Ma ci si ferma, qui, sembra. Col contorno, s’intende, di un bell’aperitivo in piazza del Pantheon o in quella della Signoria. Ottimo. Ma non basta più.

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