Odio le mostre anche perché odio i visitatori delle mostre (con quella brutta abitudine di mettersi davanti ai quadri che mi interessano) ma la Fondazione Magnani-Rocca fa orario continuato, se arrivi subito dopo pranzo c’è pochissima gente. Da Parma a Mamiano di Traversetolo sono 16 chilometri in direzione collina, sempre dritto fin quando a un trivio bisogna girare a sinistra (non mi piace girare a sinistra, prestare il fianco alle macchine in arrivo, e mi piacerebbe ancor meno se fosse notte) per infilarsi in uno stradello proprio di campagna, fiancheggiato da alberi non molto alti e spettinati, semiselvatici. Forse le alloctone, pertanto da me odiate robinie? Per verificarlo dovrei fermarmi ma devo invece affrettarmi, non vorrei che le masse avessero già finito di ingozzarsi nei mangifici del centro città e stessero per frapporsi fra me e i quadri di Casorati. Accelero. Poco dopo appare il villone che fu di Luigi Magnani, leggendario collezionista di Morandi e non solo, e davvero non ricordo se tanti anni fa scoprii il personaggio ascoltando un marchese parmigiano o leggendo Arbasino in “Fratelli d’Italia”: “Chi di voi è già stato da Magnani, nella villa?”. Nei primi Anni Sessanta il raffinatissimo scrittore lombardo compilò un catalogo valido ancora oggi: “Tutti i Morandi, anche commissionati, il Rubens di Mantova, il Dürer di Bagnacavallo, la gran tazza di porfido dello zar Alessandro per Napoleone, montata da Thomire… E questo immenso Goya murato nel salone del fortepiano di Beethoven a palazzo Palffy…”.
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