Nicola Chiaromonte (foto Olycom)

Nicola Chiaromonte: l'antitotalitario dei due mondi

Massimo Teodori

Rigoroso antifascista, ostinato anticomunista, liberal-socialista senza partito, filosofo cosmopolita, critico teatrale, mistico laico nonviolento. Ricordo dell'intellettuale lucano, che era un po’ tutto questo. I suoi scritti ora nei Meridiani

Chi era davvero Nicola Chiaromonte, l’intellettuale che il 18 gennaio 1972 morì a 67 anni in un ascensore della Rai? Molti i titoli che gli sono stati attribuiti: rigoroso antifascista di Giustizia e Libertà, ostinato anticomunista (accusato di essere al soldo della Cia), liberal-socialista senza appartenenze partitiche, filosofo cosmopolita, critico teatrale, e mistico laico nonviolento come apparve nella corrispondenza degli ultimi anni con la poetessa Melanie von Nagel (Muska) fattasi suora. Il giovane lucano (nato a Rapolla, Potenza nel 1905) divenne nel ventennio 1930-1950 un intellettuale stimato nei circoli di Parigi e New York molto più di quanto fosse riconosciuto a Roma nella stagione post-fascista dominata da democristiani e comunisti. Fu immortalato da diversi orizzonti: nell’Espoir di André Malraux con cui aveva combattuto nella guerra civile in Spagna, da Mary McCarthy nel romanzo satirico L’Oasis come membro di una piccola società di persone ritiratesi su una montagna per crearvi una società libera e giusta; e da Leo Valiani  nella raccolta postuma di Scritti politici e civili, come la persona che fino all’ultimo aveva praticato “la convinzione della validità intima della Ragione”. 

Anche in Italia, in questi giorni, si rende giustizia alla singolare personalità del Novecento con il Meridiano di duemila pagine pubblicato da Mondadori Lo spettatore critico. Politica, filosofia letteratura brillantemente curato da Raffaele Manica a cui si devono anche le rigorose note cronologiche e bibliografiche. Personalmente ho avuto la fortuna di avere conosciuto Chiaromonte insieme a Silone nella sede della Associazione italiana per la libertà della cultura a piazza Accademia di San Luca, Roma nel 1955, quando costituii un circolo dell’Ailc nella mia città, Ascoli Piceno. Più d’ogni altra definizione a me pare che l’intellettuale lucano meriti di essere ricordato come l’antitotalitario dei due mondi con una definizione che esprime proprio il motivo per cui nel dopoguerra fu osteggiato dall’intellettualità italiana in buona parte prigioniera dell’egemonia culturale progressista-comunista e del mito della “Resistenza unica” per cui gli antifascisti non possono essere anticomunisti. L’impegno che il “cosmopolita errante” aveva eretto a regola del suo antitotalitarismo era il rifiuto di quell’engagement  sartriano che poneva la ragion di partito sopra la verità, concetto che fu oggetto di una dura polemica di  Albert Camus. Nel 1934 Chiaromonte voleva che Giustizia e Libertà divenisse l’articolazione di un movimento internazionale degli uomini liberi di fronte alla minaccia del totalitarismo. Stimava Gaetano Salvemini per il problemismo estraneo ai grandi sistemi teorici, e ne era ricambiato al punto che il decano degli esuli lo volle accanto a sé nel 1935 al Congresso internazionale degli scrittori di Parigi quando pronunziò il famoso discorso “Non posso tacere … non mi sentirei di protestare contro la Gestapo e contro l’Ovra fascista se mi sforzassi di dimenticare che esiste una polizia politica sovietica… e che nell Russia sovietica c’è la Siberia”. 


Nel ventennio 1930-1950 divenne  un intellettuale stimato nei circoli di Parigi e New York molto più di quanto fosse riconosciuto a Roma nella stagione post fascista dominata da democristiani e comunisti


 

Mitragliere volontario nella squadriglia aerea di Malraux nella guerra civile spagnola toccò con mano i massacri del libertari del Poum operati dai comunisti che fecero scomparire anche il suo compagno anarchico Camillo Berneri. Nell’esilio americano divenne un riferimento per i radicali anticomunisti raccolti intorno a “Politics”, la rivista di Dwigth McDonald a cui collaboravano Paul Goodman, Mary McCarthy e Hannah Arend, il gruppo con cui l’esule italiano contestò la manifestazione dei partigiani della pace tenutasi al Waldorf Astoria di New York nel 1949 per diffondere il verbo filosovietico. Attivo nella formazione del movimento per la Libertà della Cultura, ne diede una interpretazione in una lettera a Silone: “Per quanto riguarda la parola ‘liberalismo’, evitiamola. Rimane che, in questo dopoguerra, quelli come noi che han fatto il giro delle ideologie e, in particolare delle ideologie socialiste, si sono ritrovati a difendere con certezza le ‘libertà concrete’, il rifiuto in ogni caso e a ogni costo del ‘totalitarismo’ e delle ideologie che vi conducono”. 

Chiaromonte era senza dubbio un Cold War warrior, una specie di “guerriero non guerriero” con un profilo singolare anche tra gli intellettuali della sua parte. Eretico per vocazione, le uniche  appartenenze che nel dopoguerra non rifiutò, lui che si era sempre tenuto lontano dai gruppi organizzati, furono la “Libertà della Cultura” e il nuovo Partito radicale per cui firmò nel 1955 il manifesto costitutivo. Del Congress for Cultural Freedom (Ccf) nato a Berlino nel 1950 con il patrocinio di Raymond Aron, Bertand Russel, John Dewey, Jacques Maritain, Isaiah Berlin, Karl Jaspers e Benedetto Croce, accettò di divenire membro supplente del comitato internazionale. In quel movimento sospinto dagli americani rappresentati anche da due ex agenti dell’Oss, l’organizzazione che aveva coordinato la resistenza ai nazisti nei paesi europei, si distinguevano due tendenze: gli anticomunisti “muscolari” facenti capo ad Arthur Koestler e ai tedeschi, e gli anticomunisti democratici guidati da Ignazio Silone e dai francesi di Raymond Aron. L’Associazione italiana per la libertà della cultura (Ailc), ramo del Congresso internazionale, dal canto suo si mosse in piena autonomia e indipendenza come gruppo antitotalitario formato da intellettuali liberali, socialisti democratici, laici e cattolico-liberali, associati per contrastare la pressione della sinistra comunista e della destra clericale e nostalgica.

Fu proprio  l’Ailc a pubblicare nel 1953, dopo Uscita di sicurezza di Silone, l’opuscolo Il tempo della malafede, il manifesto di Chiaromonte sul rapporto tra comunismo e intellettuali: “Il comunista dilettante è un oggetto degno di qualche studio. Mentre nel comunista militante, infatti, la malafede essenziale nell’epoca nostra si presenta già duramente forgiata in un’arma di difesa e d’offesa, nel comunista dilettante, invece, essa di trova allo stato libero, e, per così dire liquido, in una miscela umanamente torbida”. Nella Guerra fredda culturale Chiaromonte e Silone, tra loro concordi se pur diversissimi, rappresentavano la tendenza schierata con l’Occidente ma non disposta ad accettare la ragion di Stato neppure pro-Stati Uniti, né l’unità anticomunista con i partiti maccartisti. Tempo Presente, rivista estranea agli schematismi ideologici, fu diretta dalla coppia divenendo in pratica la tribuna che più compiutamente espresse dal 1956 al1967 lo “spirito” di Chiaromonte. Il mensile si avvalse di contributi di venerati maestri tra cui Camus, Aron, Bonaiuti, Bettiza ed Herling, e di giovani emergenti quali Sciascia, Forcella, Zolla e Arbasino. Restò sempre autonoma dal Ccf di cui non fu organo come l’inglese Encounter e  la tedesca Der Monat, e non censurò la pubblicazione di scritti critici degli Stati Uniti, ad esempio America, America di Mcdonald e Rapporto sul Vietnam di McCarthy. 

Sacri, per Chiaromonte, furono il laico senso religioso della vita e l’amicizia fondata sul comune sentire che ebbe per MaryMcCarthy e per Albert Camus, di cui condivise il grido contro l’intolleranza del mondo sancito nel 1946 dagli articoli di “Combat” poi pubblicati nel saggio Ni Victimes ni Burreaux. Venerò, senza alcuna remora per l’omosessualità, Andrea Caffi, una specie di maestro “hippy ante litteram” (come lo definì Moravia che all’inizio fece da tramite tra i due) considerato da Nicola l’incarnazione del nonviolento, distaccato dalla realtà mondana. Altrettanto sincere furono le sue critiche verso personaggi del tempo: Carlo Rosselli sbagliava quando abbracciò la collaborazione di Gl con i comunisti; Pier Paolo Pasolini era “un pedagogo petulante ed equivoco, un cattocomunista tutto bandiere rosse e rigurgiti parrocchiali”; Franco Fortini “un corruttore di giovani e un uomo sleale”; Piero Calamandrei dava inopinatamente credito al regime maoista solo dopo un breve viaggio in Cina; e Gramsci era “un farraginoso studioso di provincia che ha insegnato a scrivere e pensare male ad almeno due generazioni di intellettuali italiani”. 


Nella Guerra fredda culturale, Chiaromonte e Silone, tra loro concordi se pur diversissimi, rappresentavano la tendenza schierata con l’Occidente ma non disposta ad accettare la ragion di Stato neppure pro Stati Uniti


 

Nel 1967 Chiaromonte  fu colpito nello spirito e nel corpo dalla rivelazione del New York Times ripresa da Ramparts secondo cui la Cia avrebbe finanziato il Congress for Cultural Freedom attraverso alcune fondazioni e sindacati americani. Certo è, però, che Chiaromonte non sapesse nulla di quei problemi finanziari allo stesso modo dei patrocinatori del movimento, Raymond Aron, Bertand Russel, Karl Jaspers e Benedetto Croce, che furono ridicolmente accusati, insieme a George Orwell, di aver fatto i conferenzieri al soldo della Cia. Altrettanto evidente risultò che Tempo presente non fosse stata mai usata strumentalmente dagli americani, come del resto i circoli italiani dell’Ailc di Silone.   

La Guerra fredda culturale fu negli anni Cinquanta e Sessanta del ‘900 una innegabile realtà che spinse le democrazie liberali dell’Occidente, in particolare l’Italia e la Francia con una forte presenza dei partiti comunisti, ad esercitare il diritto – anzi il dovere -  di difendersi dagli assalti dei partigiani della pace impegnati dal 1948 a disgregare l’Alleanza atlantica. Chiaromonte che pativa in Italia il bando dell’intellettualità di sinistra, scelse di combattere la guerra culturale armato del suo umanesimo socialista e libertario. In Italia era uno dei pochi intellettuali apertamente antitotalitari con provenienza antifascista – insieme a Salvemini, Garosci, Ragghianti e altri – a cui furono rivolti i volgari attacchi di Togliatti-Roderigo di Castiglia su Rinascita. Paolo Milano, altro esule antifascista, in occasione della scomparsa scrisse sull’Espresso di essere colpito dalla consonanza e verità che avevano accompagnato la vita dell’amico Nicola Chiaromonte che aveva fatto venire in mente a Ugo Stlle la terzina del Purgatorio “Facesti come quei che va di notte, / che porta il lume retro e sé non giova, / ma dopo sé fa le persone dotte”.

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