Uwe Zucchi/Dpa/LaPresse - Mostra d'arte Documenta12. Nella foto: "The Zoo Story" di Peter Friedl  

L'arte al capolinea?

Documenta 15, oltre Banksy e il polpottismo istituzionale

Francesco Bonami

L’ultima speranza per cancellare il timore che l’arte sia arrivata al capolinea

Il sistema dell’arte vive la propria guerra fredda. Da una parte il mercato, le fiere e le assurdità dei milioni pagati ancora una volta per Banksy e dall’altra il polpottismo istituzionale. Chi era rimasto scosso dalla Tate Gallery di Londra che ha trasformato il suo Turner Prize – una volta prestigioso o quanto meno divertente – in un istituto di ricerche sociali e politiche con un dipartimento dedicato alla salute mentale, avrà da divertirsi nel leggere la lista di Documenta, la cugina intelligente della Biennale di Venezia che si tiene nella piangente cittadina di Kassel ogni cinque anni. Se a Venezia si va per ballare, mangiare e guardare arte, a Kassel si va per pensare.

 

Documenta – in particolare le ultime edizioni – erano vietate a chi aveva un IQ sotto 80. La numero 15 che aprirà il prossimo 8 giugno potrebbe avere anche una soglia di reddito, come quello di cittadinanza. Chi guadagna più di un tot non potrà visitarla ma avrà la possibilità – se lo volesse – di acquistare il biglietto di solidarietà da far usare a chi è  senza i mezzi per comprarlo, ma chiaramente con mezzi sufficienti per arrivare a Kassel e pagarsi la notte in una bettola. Va detto che  Documenta, almeno in tempi recenti, necessitava di un anno sabbatico per essere visitata tutta. I curatori della prossima edizione sono il gruppo indonesiano Ruangrupa, fondato nel 2000 da sette artisti. La loro filosofia curatoriale potrebbe essere ispirata a Pol Pot, che a modo suo era un curatore di arte concettuale. La conferma di questo sospetto mi è venuta dal tema o titolo dato alla prossima Documenta “Lumbung”, che significa fienile o deposito del riso. L’intenzione dei curatori è quella di ricordare che le risorse vanno condivise, compresa la risorsa dell’arte. Speriamo che a giugno a Documenta ci sia arte da condividere, in caso contrario si assisterà a una carestia e gli spettatori moriranno di fame.

Dalla lista mancano i big dell’arte, ma rimane da capire se almeno qualche artista small ci sarà. Predominano i gruppi e le associazioni. Il Black Quantum Futurism, ad esempio, è composto da due artiste che investigano la natura del tempo in relazione ai sistemi di oppressione. La selezione degli artisti è stata fatta attraverso i “majelis” che da quel che ho potuto capire sono una sorta di assemblea di classe del tipo “compagni, parliamone!”. Sarà molto interessante, sconcertante o devastante vedere di cosa si tratta. Alcuni partecipanti alla prossima Documenta non sono nemmeno intercettati dal radar di Google. Ho digitato “ikkibawirKrrr” e mi è stato detto che non esiste nessun documento con questo nome o con queste lettere. Ma il gesto più polpottiano di tutti è quello di aver tolto qualsiasi riferimento nazionale agli artisti invitati, sostituendolo con il fuso orario della zona geografica dove vivono. Ci sono artisti della zona centrale europea , altri della zona occidentale sahariana o alcuni, i più cosmopoliti e benestanti, di diverse zone orarie.

È impossibile sulla carta dare un giudizio su questo nuovo processo organizzativo di mostra. Anche se solo usare la parola mostra potrebbe farmi negare l’ingresso alla manifestazione social creativa. La realpolitik è stata sostituita dalla surreal politik. Sicuramente il mondo attorno all’arte e il mondo dell’arte stanno mutando geneticamente. Resistere a questa mutazione forse non è né possibile e forse non è nemmeno necessario. Voglio solo sperare che una volta pagato il biglietto di solidarietà non mi vengano fatti togliere gli occhiali per poi darmi una palata in testa. Lo facevano i Khmer rossi per risparmiare le pallottole. I Ruangrupa potrebbero farlo per risparmiare la carta igienica delle toilettes del Museum Friedericianum di Kassel. Ma la vera domanda è dove un mondo dell’arte fatto di opposti estremismi possa portare l’arte stessa. Il mio timore è che lo svuotamento dell’esperienza emotiva dell’arte e in parte anche l’annullamento progressivo del piacere estetico sostituendolo con la richiesta di uno sforzo intellettuale sempre più grande da parte dello spettatore spinga l’arte e i suoi fruitori più generici alla deriva di fenomeni pseudoartistici come Kaws, Banksy o Nft, che fanno coincidere la superficialità del loro approccio culturale e sociale con una folle potenza commerciale. La speranza è che la lista di Documenta 15 nasconda presenze artisticamente così emozionanti e misteriose da squarciare il dubbio e il timore che l’arte, attorno alla quale da sempre diverse umanità si sono riunite, possa davvero essere arrivata al capolinea.

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