La voce surreale di Anthony Bourdain

Mattia Giusto Zanon

Nel nuovo documentario Roadrunner, lo chef scomparso nel 2018 in alcune battute ha una voce calda. Curiosità: non è la sua, ma una copia creata da un'intelligenza artificiale

"C’erano tre battute che avrei voluto sentirgli pronunciare con la sua voce, ma non esistevano registrazioni, quindi mi sono messo in contatto con una società di intelligenza artificiale, e gli ho fornito ore e ore di girato perché me la producessero". Le parole sono del regista Morgan Neville, autore di un nuovo, discusso, documentario sulla vita del compianto chef newyorkese che girava il mondo con tanta fame e bisogno di scoperta quanto appetito.

Uscito negli Stati Uniti il 16 luglio, Roadrunner: A Film About Anthony Bourdain è una cronaca arrabbiata, elegante e spesso brutalmente emotiva della vita di Bourdain e del suo impatto su molte persone a lui vicine. Da noi era famoso, oltre che per le trasmissioni televisive spesso mal doppiate su canali televisivi minori, anche per una chiacchierata relazione con Asia Argento, sua ultima compagna fino al triste epilogo, nel 2018, quando venne ritrovato morto nella spoglia suite di un hotel in Alsazia. La pellicola diretta da Neville, ci restituisce un Bourdain intenso, complicato, guidato inesorabilmente dal timone del carisma, un uomo che ha focalizzato, intensificato, e disturbato la vita di coloro che lo circondavano. 

Un “inguaribile romantico” per cui la realtà non era quasi mai all’altezza delle aspettative, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, di un posto non visto, dell’ingrediente mancante, di un piatto non ancora assaporato, della conversazione con uno sconosciuto che avrebbe potuto cambiare tutto quanto aveva fatto fino a quel preciso istante. Ma la narrazione non edulcora neanche troppo, raccontando le difficoltà, la pesante sensazione di quando hai successo e tutti si aspettano da te nient’altro che gioia, gratitudine ed euforia, così che quando vorresti urlare “ehi, non sto bene”, ti ritrovi col vuoto intorno.  

 

Uno dei problemi principali è che l’escamotage tecnologico, nonostante venga adoperato in maniera limitata all’interno del girato, non viene mai esplicitato con chiarezza. Seppur in maniera molto più fine rispetto all’ologramma strampalato di Tupac – che duettò con Snoop Dogg sul palco del Coachella, e che pure riuscì a strappare qualche espressione più che basita – di questa voce “inesistente” non se ne era accorto nessuno, prima che il regista lo dichiarasse, vari giorni dopo l’uscita della pellicola. Esistono esiti creativi delle tecnologie di intelligenza artificiale abbastanza interessanti e non per forza criminosi, come quando nel 2020 una collaborazione tra artisti e aziende di IA ha dato vita a una rappresentazione sintetica audio-video del famigerato discorso “In case of Moon disaster”, che era stato preparato dall’amministrazione Nixon – come sempre, nel caso di eventi di simile portata – nell’eventualità di un insuccesso tragico della missione Apollo 11, e nell’ipotesi peggiore: con la spedizione fallita e Armstrong e Aldrin morti.

 

Il problema dell’utilizzo di queste nuove tecnologie è che occorre essere delicati e accorti nel modo in cui le si racconta le prime volte che si presentano al pubblico, perché il rischio cringe – espressione molto difficile da tradurre in italiano, un misto di imbarazzo e repulsione, un brivido che ti percorre la schiena e che ti avverte che c’è qualcosa che non quadra – è vivo e presente. Il fatto è che lo shock diventa tanto più marcato quanto questa apposizione è sottile. Nel momento in cui si piazza un finto Nixon davanti a una telecamera e gli si fa dire cose che sappiamo essere state smentite dal corso della storia è un conto, ma se la cosa si fa più sottile, come nel caso di Bourdain? In cui non c’è un video, ma c’è solo un audio, non dice cose strampalate e per giunta è nascosto in un paio di episodi all’interno di un girato di ore. 

Allora il rischio è maggiore, perché più subdolo, e sarebbe devastante iniziare a guardare con diffidenza a ogni informazione contenuta in un documentario solo perché qualcuno non ha avuto l’accortezza di segnalarci l’utilizzo di una tecnologia nuova. Sarebbe un peccato, ma il passo è molto sottile. Certo, rivelando l’escamotage, anche in maniera piuttosto distratta, l’autore ha dato il via a un dibattito che potenzialmente avrà ancora più eco del film stesso, ma a questo punto poteva anche non dircelo, ci avrebbe risparmiato il dramma