PUBBLICITÁ

il foglio del weekend

Lady vaccino

Marinella Guatterini

Nel Settecento diffuse il metodo delle popolane greche per sconfiggere il vaiolo. La storia di Mary Montagu è l’antidoto agli anti vax moderni

PUBBLICITÁ

Ci vacciniamo o non ci vacciniamo? Se avessimo quale dubbio a riguardo leggiamo le effervescenti avventure di una Lady inglese, poetessa e scrittrice poliglotta, che senza essere un medico, scoprì e divulgò battendosi come una leonessa, un metodo in apparenza bizzarro, ma assai efficace per sconfiggere la piaga del vaiolo nell’età dell’Illuminismo e del Potere Assoluto e di una scienza della salute che ancora viveva di salassi e clisteri; mentre le Chiese sottolineavano che il vaiolo era un castigo di Dio per i peccati degli uomini e invitavano alla preghiera.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Ci vacciniamo o non ci vacciniamo? Se avessimo quale dubbio a riguardo leggiamo le effervescenti avventure di una Lady inglese, poetessa e scrittrice poliglotta, che senza essere un medico, scoprì e divulgò battendosi come una leonessa, un metodo in apparenza bizzarro, ma assai efficace per sconfiggere la piaga del vaiolo nell’età dell’Illuminismo e del Potere Assoluto e di una scienza della salute che ancora viveva di salassi e clisteri; mentre le Chiese sottolineavano che il vaiolo era un castigo di Dio per i peccati degli uomini e invitavano alla preghiera.

PUBBLICITÁ

 

Chi ci conduce per mano alla scoperta di questa Lady è Maria Teresa Giaveri, illustre francesista, ma anche docente di Letterature comparate, curiosa e pluripremiata: è, tra l’altro, Chevalier des Arts et des Lettres della Repubblica Francese. Nell’estate scorsa, l’epoca della nostra prima pandemia, scrisse le ultime, beneauguranti righe di “Lady Montagu e il Dragomanno - Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini”, in libreria dal 4 febbraio (editore Neri Pozza). Diviso in 14 capitoli dai titoli evocativi, il suo itinerario non inizia banalmente dalla biografia della Lady, nata il 15 maggio 1689 a Londra, o dal subitaneo svelamento di chi sia il suo Dragomanno, ovvero Emanuel Timoni, il traduttore del marito a Costantinopoli, ma anche il medico di origini genovesi che con lei, e anzi ancor prima di lei, provò a divulgare il salvifico metodo per combattere il vaiolo. 


Maria Teresa Giaveri, illustre francesista,  ha scritto "Lady Montagu e il Dragomanno - Viaggio avventuroso alle origini dei vaccini


 

Il viaggio prende invece le mosse dalla “fuitina” che nel 1712 legò in matrimonio privato l’allora Mary Pierrepoint, figlia del conte di Kingston ed Edward Wortley Montagu, nipote del primo conte di Sandwich. I due, scappati dalle rispettive casate in lotta, e senza una dote, quando ancora erano “amici”, sognavano un futuro di viaggi e di paesaggi lontani, passando magari per l’Italia, laddove la natura mediterranea doveva somigliare al “paradiso prima della creazione dell’uomo”. Fortuna e abilità della coppia volle che Edward Wortley, attivo membro del Parlamento inglese per il partito Wight (opposto al Tory ), fosse nominato, quattro anni dopo il matrimonio, ambasciatore in Turchia. La sua ventisettenne sposa, orfana di madre, coltissima grazie all’educazione anglicana, alla tradizione filosofica e politica dell’ambiente sociale frequentato, e alla sapienza umanistica dei suoi non pochi sforzi personali, era già ammiratissima nei circoli letterali dell’aristocrazia inglese, eppure non stava più nella pelle. Nulla l’avrebbe fermata dal seguire il marito, neppure il vaiolo – vero flagello dell’epoca insieme alla peste – che l’aveva colpita in forma lieve (mentre il fratello ne era morto) lasciandole in eredità occhi senza ciglia e pustole essiccate sul volto. Lei le copriva con la biacca, pasta bianca e spessa: un trucco dannosissimo che per secoli aveva levigato le gote delle dame altolocate, ma nel suo caso vera panacea per conservare la sua sempre ammirata bellezza.

 

PUBBLICITÁ

Dopo un burrascoso veleggiare per mare, i Montagu giunsero a Rotterdam, città che a Mary parve un limbo di ordine, pulizia, eccitato daffare, come scrive alla sorella, in una delle tante lettere raccolte in “The complete letters of Lady Mary Wortley Montagu”, edite da Robert Halsband (1965-67) e tradotte dalla stessa Giaveri. L’Olanda all’inizio del XVIII secolo era, in effetti, un’oasi di ricchezza e scambi economici, persino con il lontano Giappone. Il commercio dei tulipani era diventato una bolla speculativa che però già profetizzava per la coppia quell’Era dei Tulipani – il periodo trascorso a Costantinopoli (l’odierna Istanbul), città impreziosita dalle specie più rare di quei fiori a forma di coppa. Dopo L’Aia, e Nimega, la sosta a Vienna, dove giunsero da Ratisbona scivolando sul velluto del Danubio, con il loro corteo di servi in livrea, fu obbligatoria. L’ambasciatore Edward Wortley doveva farsi latore di una lettera presso l’imperatore Carlo VI d’Asburgo in vista di un trattato di pace tra Austria e Turchia. 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

La “fuitina” che nel 1712 legò in matrimonio la figlia del conte di Kingston e il nipote del primo conte di Sandwich. I viaggi dei Montagu


 

Nel frattempo la sua sposa osservava e annotava tutto mandando lettere ai famigliari e agli amici inglesi piene di garbo e riservatezza; ben conscia del suo ruolo accanto al marito, di certo non si abbandonava a descrivere le sue frivolezze, anche se nella “mollezza cattolica” dell’elegante Vienna non si trattenne. Elogiò le cene a cui era invitata, le ricorrenti visite a teatro per tragedie e commedie che il suo sufficiente tedesco non le impediva di gradire. E da femminista ante litteram quale era – ora vestita in caste mise da ambasciatrice, ora in libertini abiti da amazzone – non mancò neppure di annotare quanto le donne austriache godessero di privilegi impensabili nella severa e anglicana Londra. Corteggiate soprattutto se non più giovani ma mature, esibivano i loro amanti in pubblico e la loro reputazione ne acquisiva meriti. Il soggiorno a Vienna si prolungò più del dovuto: in palio c’era il sotterraneo disegno politico di convincere l’imperatore Carlo VI a interrompere il suo impegno anti-islamico per schierarsi a fianco dell’Inghilterra contro gli Spagnoli. Le spadroneggianti mire turche, sempre tenute a bada, erano, del resto, ben note sin dal XVII secolo. Dunque il nostro Edward aveva un incarico assai delicato, per di più da Vienna dovette spostarsi nei nativi terreni sassoni dove Giorgio di Hannover, ormai Re d’Inghilterra e d’Irlanda, amava soggiornare. I coniugi Montagu raggiunsero quello che in privato chiamavano “simpatico scioccone”, dopo un viaggio che dal regno di Boemia, con la desolata Praga, li portò a Dresda. Il re, la sua corte, le sue due amanti tedesche, li trattarono con tutti gli onori, mentre alti funzionari invidiavano Edward per il suo ruolo e cominciarono a complottare contro di lui.

 

Costantinopoli si raggiunse passando per Budapest, Belgrado, Adrianopoli. La Lady mette a tacere il suo taccuino quando passa per terre desolate, “campi segnati dalle battaglie, cittadine distrutte per rappresaglie, villaggi spenti dalla peste”, contro la quale sembravano esserci ben pochi rimedi. Solo quella chiusura delle città e quelle quarantene, anche nei porti, approntate nel tardo Medioevo dai comuni italiani, e lentamente adottate in Europa. I Wortley Monatgu ne furono risparmiati e una volta giunti alla “città d’oro”, nel maggio del 1717, furono ripagati da tutte le paure di un viaggio non proprio tranquillo, con la nascita del loro primo figlio, Edward Junior. Davanti ai loro occhi si dischiuse una città dove palazzi bizantini si mescolavano a moschee, in una vasta rete di quartieri greci, italiani, armeni, sefarditi dai colori variopinti, testimoni delle etnie e del livello sociale dei loro abitanti. Si stabilirono a Pera, il quartiere delle ambasciate; Mary riprese a scrivere di un mondo orientale che da Londra si poteva solo immaginare. Nessuno aveva visto cammelli, cavalli non sfruttati nel lavoro, tortorelle e cicogne considerate quasi sacre perché si supponeva che ogni inverno volassero alla Mecca. Eppure, quel mondo di incantevoli novità era tanto bello quanto crudele.


"E’ nell ’hammam che la signora Montagu scopre che alcune popolane greche avevano sconfitto il vaiolo grazie all’“inoculazione”


 

Il potere assoluto del Sommo Sultano non risparmiava torture e corpi fatti a pezzi, grazie a feroci Giannizzeri di cui persino il loro sovrano non si fidava del tutto. Ma ormai con il nuovo anno, il 1718, sarebbe sbocciata l’èra dei Tulipani, una gran festa per celebrare il fiore imperiale di Ahmed III con cerimonie sontuose al chiaro di luna, tra giardini meravigliosi, fontane zampillanti, alberi d’argento e nuove tecnologie importate dall’occidente come i torchi a stampa. Di tanto rigoglio godettero anche i Wortley che aspettavano già una nuova creatura. Quando capitiamo in uno dei due luoghi – l’harem e il bagno turco – che più affascinavano non solo gli avidi lettori delle missive della Lady, ormai diventata una narratrice imperdibile, e di cui cantare le lodi nei circoli dell’aristocrazia londinese e non solo, entriamo davvero in medias res. Lasciamo perdere una pur interessante annotazione: il grande pittore Ingres, suggestionato da una delle missive della Lady, letta nel 1805, ne tratteggiò un semi immaginario ritratto in uno dei suoi quadri più famosi e scandalosi, “Il Bagno turco”. Inserita tra molte donne nude, la bruna e minuta Mary si riconosce da una coroncina d’oro postale in capo e “dai seni luminosi che sbocciano sulla destra del famoso dipinto”. E’ però nell’hammam, in cui potrà entrare senza sospetti per il suo rango e ruolo, che l’ambasciatrice scopre dal chiacchiericcio di alcune donne come alcune vecchie popolane greche fossero riuscite a sconfiggere il vaiolo grazie all’“inoculazione”, o “variolizzazione”, o anche con bella metafora botanica “innesto” (il “favoloso innesto” secondo Giuseppe Parini).

 

Il metodo consisteva nel riempire un guscio di noce con la migliore materia vaiolosa (un pus pulito, diremmo) e di introdurne in vena quanto ce ne sta sulla punta di un grosso ago, in modo da poter pungere altre quattro o cinque vene. I corpi sani, per lo più giovani, ai quali gli innesti erano di preferenza destinati, permanevano arzilli e vispi per otto giorni. Poi cominciava la febbre; durava due o tre giorni e dovevano restare allettati. In alcuni casi comparivano alcune pustole sul viso, ma senza lasciare segni, anzi nel caso di scarnificazioni proprio lo spurgo del pus facilitava la completa scomparsa della malattia. Mary non solo scrive che si dedicherà alla divulgazione di questo metodo salvifico, ma con l’aiuto di una vecchia greca fa vaccinare il suo primo bimbetto di pochi mesi e annuncerà al marito, lontano per lavoro, che dato il buon esito del “favoloso innesto” non ne escluderà il futuro bebè: una bambina. Ed ecco comparire non da lontano, ma da vicino, i Dragomanni. Il primo è quel citato Emanuel Timoni, ingaggiato da Edward Wortley come traduttore illustrissimo e favorito alla corte di Costantinopoli dove era nato, ma anche come medico laureatosi all’Università di Padova. Da tempo costui era a conoscenza della “inoculazione”; ne aveva scritto in latino, nel 1712, alla “Philosophical Transactions, l’organo ufficiale della Royal Society e l’illustre istituzione, solo a conoscenza di un vago metodo cinese che introduceva polvere di croste vaiolose nelle narici, si rivolse a un altro Dragomanno di fiducia, Jacopo Pilarino, che da Smirne avvalorò le tesi del più giovane Timoni. Nato a Cefalonia, laureatosi pure a lui a Padova, Pilarino ampliò il trattato del primo Dragomanno aggiungendo con certezza che l’ inoculazione era nata in Tessaglia. Anche lo studio del Pilarino fu pubblicato a Venezia, ma nel 1715 e poi discusso dalla Royal Society. Purtroppo entrambe le documentate ricerche dei due medici sprofondarono per un secolo in un “assordante silenzio”.

 

I due Dragomanni tra l’altro moriranno entrambi nel 1718 – Timoni in circostanze assai misteriose (suicidio o no?) ma le missive della Lady avranno invece ampia diffusione, a differenza di quelle del marito, tutte bloccate a Vienna da un suo rivale. Accalappiandosi il suo posto e i suoi meriti, il complottista costringerà i Montagu a un triste rientro in patria. Fine di una storia suggestiva e così pertinente ai nostri tempi bui? Nient’affatto. Con precisione storica e scrittura elegante, la Giaveri narra tutto ciò che avvenne in seguito alla lunga storia in oriente, dove la Lady imparò persino l’arabo. Dalle traversie di Wortley che si distaccò dalla politica disgustato per più redditizi commerci, fino al conflitto con i figli. Edward junior si rivelerà un mascalzoncello dedito solo alla dilapidazione dei soldi paterni, mentre la secondogenita o “Cara bambina”, titolo delle ultime lettere materne della Montagu (Adelphi, 2014), si dimostrerà beota e bigotta, capace di sfornare figli sotto il sacro vincolo di un matrimonio d’altro rango, senza capire gli utili moniti della madre che l’avrebbe voluta fiera di una retta emancipazione. D’altra parte, proprio costei aveva distrutto, in gioventù, il prezioso Diario della sua genitrice… La Giaveri ci narrerà di quando, nel 1721, esplose una nuova epidemia di vaiolo sia in Inghilterra sia nella colonia del Massachusetts. Sostenuta dal medico di famiglia, Charles Maitland, la Lady riuscirà a far vaccinare la principessa del Galles, futura regina, e la sua corte, non prima dell’abietto metodo di testarne la veridicità su alcuni condannati a morti. L’inaspettata reazione del sinistro pastore bostoniano e medico Cotton Mather, fu un’altra sorpresa.


La Scienza illuminista si tur. il naso quando, nel 1774, con la vaccinazione di Luigi XVI, dovette accogliere una pratica diffusa dalle popolane


 

Post-inquisitore e cacciatore di streghe, una volta informatosi sull’efficacia del innesto contro il vaiolo, accusò i predicatori religiosi che lo consideravano diabolico, ispirati solo da Satana. Altre curiosità infiocchettano l’ultima parte di “Lady Montagu e il Dragomanno”, incluso l’innamoramento di Mary per il veneziano Francesco Algarotti che seguì ovunque, restando all’estero e in Italia per ben vent’anni – tra Venezia, Torino, Napoli, il lago di Lovere – nella vana attesa di incontrarlo. Scrittore, poeta e collezionista d’arte, l’Alagarotti era un inafferrabile e velato omosessuale. Scrisse “Newtonianismo per le dame”, testo messo subito all’indice eppure dal gran seguito internazionale, anche perché si rivolgeva a un pubblico femminile che nel 1737, data della pubblicazione a Milano, sembrava voler alzare la testa. Con l’aiuto degli Enciclopedisti? Nel secolo dei Lumi che tanto ci ha dato, la posizione delle donne rimaneva alquanto ambigua, e non mutò dopo la Rivoluzione francese. Da una parte si sosteneva che la donna fosse regina, dall’altra le si vietava l’accesso nel mondo tutto maschile della cultura ufficiale. Sicché la Scienza illuminista si turò il naso quando, nel 1774, con la vaccinazione di Luigi XVI, dovette accogliere una pratica diffusa da donne popolane e incolte che divenne vera e propria vaccinazione contro il vaiolo, sancita da battaglie pro e contro e infiniti trattati che la misero a fuoco. Certo della sua scoperta ancora empirica, la Montagu fu universalmente riconosciuta come la prima, coraggiosa, divulgatrice. Il suo tramonto fu così in levare. Tornò a Londra, dalla figlia, conscia che il suo tumore al seno non l’avrebbe risparmiata, ma contenta di scoprire che tra i suoi numerosi nipoti brillasse una ragazzina dedita agli studi e anticonformista come lei. Tornò a riabbracciare il marito che come lei morì nel 1761, non senza aver promulgato deliziose lettere (“Italian Memoir”) sulla bellezza del goethiano “Paese dove fioriscono i limoni”.

PUBBLICITÁ