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indagine su merito, competizione, flessibilita’

La giusta Alchimia per valorizzare i più giovani. Un dialogo con Paolo Barletta

Mario Leone

Dalle costruzioni alla moda fino al cinema e al mondo delle app, inseguendo un'irrefrenabile passione e la voglia di mettersi di gioco: "Innovazione è cercare di cambiare e reinventare modelli e idee"

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C’è l’azzurro del mare a fare da sfondo alla storia di Paolo Barletta, imprenditore classe 1986, alla guida del gruppo immobiliare che porta il suo nome, ereditato dal padre Raffaele nel 2011. Paolo ha la giovialità dell’uomo del sud, la simpatia che risuona in un leggero accento romano e la mentalità del cittadino del mondo. I primi anni di vita li trascorre ai Castelli romani per poi trasferirsi nell’Urbe. “All’inizio a Roma non avevo amici – dice al Foglio – e ho avuto difficoltà a ricostruire una trama di rapporti. Inserirsi in ambiti precostituiti non è semplice”. Gli anni in una scuola superiore paritaria (“una scuola pubblica”, ci tiene a specificare) mostrano tutta la sua intraprendenza. “Sono stato uno studente normale, certamente non un modello. A scuola amavo l’attività politica come rappresentante d’istituto, poi nella Consulta provinciale degli studenti. Un’attività impegnativa ma molto stimolante anche perché mi ha permesso successivamente di far parte del Forum delle associazioni presso il Miur e seguire prima la riforma Moratti, poi quella del ministro Fioroni”.

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C’è l’azzurro del mare a fare da sfondo alla storia di Paolo Barletta, imprenditore classe 1986, alla guida del gruppo immobiliare che porta il suo nome, ereditato dal padre Raffaele nel 2011. Paolo ha la giovialità dell’uomo del sud, la simpatia che risuona in un leggero accento romano e la mentalità del cittadino del mondo. I primi anni di vita li trascorre ai Castelli romani per poi trasferirsi nell’Urbe. “All’inizio a Roma non avevo amici – dice al Foglio – e ho avuto difficoltà a ricostruire una trama di rapporti. Inserirsi in ambiti precostituiti non è semplice”. Gli anni in una scuola superiore paritaria (“una scuola pubblica”, ci tiene a specificare) mostrano tutta la sua intraprendenza. “Sono stato uno studente normale, certamente non un modello. A scuola amavo l’attività politica come rappresentante d’istituto, poi nella Consulta provinciale degli studenti. Un’attività impegnativa ma molto stimolante anche perché mi ha permesso successivamente di far parte del Forum delle associazioni presso il Miur e seguire prima la riforma Moratti, poi quella del ministro Fioroni”.

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Il desiderio di mettersi in gioco e la voglia di intraprendere un percorso lavorativo lo spingono verso una laurea triennale in Economia alla Luiss. Università e lavoro vanno di pari passo con alcune difficoltà legate all’obbligo di frequenza. Paolo tiene duro e già mesi prima della sua laurea ha un contratto a Milano. Un percorso che sembra segnato, una storia non certo inedita: il figlio che non segue le orme del padre e va per la sua strada. Due anni presso l’Anthilia Capital Partner e la proposta di un incarico nella city. Ma è un imprevisto che cambia la vita e così avviene per il giovane imprenditore, una telefonata della mamma che gli dice: “Se vuoi continuare l’attività di tuo padre, ora è il momento”.

 

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E’ il 2011 e quell’imprevisto diventa una nuova rotta tutta da esplorare. Paolo si presenta dal padre chiedendogli come può aiutarlo a gestire l’azienda. Risposta: “Non ho bisogno del tuo aiuto”. Paolo non si arrende e cerca un canale per entrare in dialogo col genitore. Gli inizi non sono facili e il rapporto vede anche momenti di forte tensione. “Sul lavoro aveva un approccio da padre padrone. Decideva e si faceva come voleva lui”. Due mentalità diverse si scontrano nelle scelte da tenere. Paolo si ritaglia lentamente il suo spazio e dal padre impara la lealtà e un segreto: “Meglio meno profitti ma una reputazione sempre limpida”. Passano due anni e un nuovo doloroso imprevisto sorprende la sua vita: Raffaele Barletta muore proprio nell’anno in cui il suo gruppo edile compie 60 anni. Ora al timone della nave c’è solo lui. Un’azienda che funziona ma che deve essere preparata ai cambiamenti e lanciata in mare aperto con un piano industriale chiaro, diversificato e a lungo raggio. Una delle prime cose a cui Paolo Barletta pensa è il premio Myllenium Award, un’iniziativa per commemorare suo padre e offrire una possibilità concreta ai giovani di talento.

 

Il Myllenium Award è un laboratorio permanente per la valorizzazione del talento di una generazione, quella dei millennial. Nove le categorie premiate, dalla saggistica all’architettura, dallo sport al giornalismo, dalla musica al sociale. Nelle prime sei edizioni vengono premiati circa duecento giovani ai quali non viene solo consegnato del denaro ma anche date opportunità concrete di tipo professionale e formativo. Parallelamente continua il lavoro sul gruppo di famiglia. Si riparte dalle costruzioni, ma presto il suo irrefrenabile desiderio di crescere e mettersi alla prova lo spinge a diversificare gli investimenti, puntando su progetti avveniristici e su giovani di talento. “La passione – dice – è il godere di quello che uno fa ogni giorno. L’innovazione è cercare di cambiare e reingegnerizzare modelli e idee. La responsabilità, per un imprenditore, è dover prendere delle decisioni da solo”.

 

Una delle prime è finanziare l’avventura imprenditoriale di Chiara Ferragni. In lei e nel suo team vede persone motivate che hanno una visione ben chiara su ciò che fanno, su dove vogliono andare. “Chiara l’ho conosciuta a Milano dove avevamo organizzato un incontro per mostrarle i jeans della nostra collezione Don’T Cry. Pensai che poteva davvero essere un nuovo canale comunicativo che la moda avrebbe utilizzato. Quando seppi che stavano strutturando il marchio e cercavano un supporto finanziario non ci pensai due volte e offrii il mio aiuto”. Un investimento vincente che oggi è confluito in Alchimia, società fondata dall’imprenditore, che detiene il 40 per cento della “Chiara Ferragni Collection”. Alchimia è una società di investimento di cui l’imprenditore romano va molto fiero. Oltre alla linea della Ferragni, Alchimia segue progetti diversi ma molto promettenti: Hyperloop, la tecnologia per il trasporto di passeggeri e merci ad altissima velocità, la “Leone film group”, casa di produzione e distribuzione cinematografica fondata da Sergio Leone, ma soprattutto Ufirst startup a cui Barletta ha creduto sin dall’inizio.

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Nata nel 2016, Ufirst è una piattaforma gratuita disponibile via web e app che permette di fare la fila da remoto, prenotando un posto o un appuntamento. Oggi conta 2 milioni e mezzo di utenti registrati che la utilizzano per l’accesso a 1.800 punti, nella britannica Sainsbury’s, in vari ristoranti di New York, in duecento città di cinque diversi paesi del mondo, primi fra tutti Italia, Ecuador e Brasile.  A giugno è risultata la terza applicazione più scaricata in Italia e da allora registra solo incrementi. Il Covid-19 ha favorito questa crescita perché l’app permette di evitare assembramenti, limitando il tempo di attesa in luoghi che oggi possono essere veicolo di contagio. Durante il nostro dialogo ritornano spesso le parole merito, competizione, flessibilità. Paolo Barletta parla di skills per un ragazzo che sta per entrare nel mercato del lavoro: “Un giovane nel suo percorso di studi universitari deve avere una serie di esperienze pratiche riferite alla facoltà che frequenta. Se il primo contatto con il mondo del lavoro avviene al termine del percorso di formazione (che negli ultimi tempi si è molto allungato) sul lavoro prenderà una serie di batoste da cui sarà difficile rialzarsi”.

 

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Una questione annosa perché il nostro sistema di formazione offre tante nozioni di qualità, spesso migliori rispetto ad altri paesi, ma manca di questo collegamento con il mondo del lavoro, il learning by doing molto utilizzato all’estero. “Io non penso che questo modello sia necessariamente il modo migliore per formare un ragazzo, pur essendo stato il mio. Ciò che ho appresso dagli anni di lavoro è di gran lunga superiore a quello che ho appreso negli anni dell’università. Il nostro sistema formativo dovrebbe mantenere il numero e il livello delle nozioni creando la possibilità sin da subito di metterle in gioco”. L’Italia è ancora il paese con il più alto numero di Neet, con una forte dispersione scolastica aggravata dalla pandemia e dalla chiusura delle scuole. Dati preoccupanti che poniamo all’attenzione del nostro interlocutore che sembra avere le idee chiare: “I genitori di questi ragazzi hanno ricevuto tanto dai propri padri e si sono adagiati. Nello stesso modo si approcciano ai propri figli rendendoli inermi di fronte alla realtà, cercando quasi di sostituirsi a loro. Secondo me il vero problema oggi va ricercato nella generazione che va dai 35 ai 45 anni”. E la scuola? “Prima di tutto ora bisogna riaprirla. Nella prima fase del Covid è stato opportuno chiudere, ora non si può andare avanti così. I ragazzi ormai si vedono solo online e hanno bisogno di incontrarsi. Poi bisogna promuovere la competizione facendo capire che oggi si tratta di una competizione globale”.

 

Su questo tema, Barletta insiste: “Bisogna creare le condizioni affinché gli insegnanti possano fare meglio il compito educativo che gli è stato affidato. In Italia abbiamo tanti bravissimi insegnanti ma, anche tanti inadeguati. Il concetto di meritocrazia sta sparendo perché, si dice, ‘dobbiamo avere tutti le stesse opportunità’ oppure scaricando la colpa sul sistema. Il livello così si abbassa. Noi dobbiamo rialzare gli standard offrendo esperienze a latere della scuola. Bisogna insegnare a non essere provinciali. Nel mondo globale una persona deve avere più interessi e più skills. Siamo in una economia modulare, rapida, dove i vari mondi si mettono insieme e ti aiutano nel lavoro quotidiano”. Nel 2019 Paolo Barletta ha trascorso più di seicento ore in volo, tra gennaio e febbraio 2020 quasi duecento. Poi è arrivato il Covid è tutto si è fermato, le nostre vite sono cambiate.

 

“Questo momento lo vivo con dolore – continua – assistendo, come tutti, ai danni umani ed economici che la pandemia sta portando. Nella mia vita però il Covid ha avuto anche un risvolto positivo: è riuscito a fermarmi. Ho iniziato a riassaporare le cose quotidiane: il mio letto, il mio corpo, ma soprattutto a non sentirmi in colpa, pensando di non fare abbastanza per dare un futuro alla mia azienda. Ho lavorato di più ma in modo diverso. Ho capito anche che quando diciamo ‘se non faccio oggi questa cosa, succederà una catastrofe’ è una fesseria. Ci sono degli imprevisti di fronte ai quali devi saperti modulare, vivendoli. Ho riscoperto rapporti, banalmente anche quello con mia madre, ritornando alla villa di famiglia dove son cresciuto da piccolo e che non frequentavo da molti anni”. “If you do not think about your future, you cannot have one”, scriveva John Galsworthy. Sta terminando il nostro dialogo e gli chiediamo cosa scorge all’orizzonte per sé. “Un’azienda che viva e cresca anche in mia assenza così da poter essere libero di allontanarmi per lunghi periodi. Mi piacerebbe viaggiare in barca con dei figli, conoscendo culture diverse. Poi magari ritornare per dedicarmi alla filantropia: desidero migliorare la vita delle persone costruendo qualcosa di buono e di bello”.

 

L’intervista integrale a Paolo Barletta potete leggerla iscrivendovi a “La classe non è acqua”, la newsletter sulla scuola del Foglio

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