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Spazio Okkupato

Nove e Battiato, quando lo sperimentalismo diventa accessibile

Giacomo Papi

La biografia di Battiato scritta da Aldo Nove è un libro strano, una doppia biografia parallela o un’autobiografia clandestina. Il loro metodo non è stato mischiare alto e basso ma rendere di massa, o almeno di successo, lo sperimentalismo delle avanguardie

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Poi ci sono quelli come Aldo Nove, che non si sa da dove arrivano né dove vanno perché altrove ci fanno andare gli altri. Aldo Nove è stato il primo scrittore italiano ad avere il coraggio di inserire una virgola tra soggetto e verbo: “L’amore, ha lo stesso meccanismo del gratta e vinci” (“Puerto Plata Market”, 1996). Aldo Nove ha scritto uno degli incipit più memorabili della letteratura italiana: “Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal” (“Woobinda e altre storie senza lieto fine”, sempre 1996).

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Poi ci sono quelli come Aldo Nove, che non si sa da dove arrivano né dove vanno perché altrove ci fanno andare gli altri. Aldo Nove è stato il primo scrittore italiano ad avere il coraggio di inserire una virgola tra soggetto e verbo: “L’amore, ha lo stesso meccanismo del gratta e vinci” (“Puerto Plata Market”, 1996). Aldo Nove ha scritto uno degli incipit più memorabili della letteratura italiana: “Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal” (“Woobinda e altre storie senza lieto fine”, sempre 1996).

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Aldo Nove è un poeta che ha cominciato a scrivere da bambino guardando il “Carosello” (“Diceva un oste al vino: Tu mi diventi vecchio. Ti voglio maritare all’acqua del mio secchio. Rispose il vino all’oste: Fa le pubblicazioni, Sposo l’idrolitina del cavalier Gazzoni”) e ha esordito giovanissimo grazie all’interesse di Franco Buffoni perché, come molti senza-padri, la vita di Aldo Nove è stata piena di maestri: oltre a Buffoni, Nanni Balestrini, Milo De Angelis, Edoardo Sanguineti e Vivian Lamarque.

 

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I pezzi unici sono rarissimi e, per questo, dimenticarli dovrebbe essere dichiarato reato. Nel calcio ci sono stati Garrincha, Savicćevicć o Eric Cantona. Tra gli scrittori Flann O’Brien e Saki. Nella comicità Maurizio Milani, che con la sua testa indomabile abita su queste pagine. In musica sono più comuni: Franco Fanigliulo, Enzo Jannacci o Franco Battiato, appunto, a cui Aldo Nove ha appena dedicato una biografia pubblicata da Sperling & Kupfer. È un libro strano, ovviamente: Nove racconta con la precisione e la devozione di un fan la vita del suo idolo – l’infanzia siciliana, la fame milanese, lo stratosferico successo del “La voce del padrone”, il misticismo – e intanto ci infila frammenti della propria.

 

Il risultato è una doppia biografia parallela o un’autobiografia clandestina, e comunque una specie di prequel di quel piccolo, doloroso capolavoro che è stato “La vita oscena”. Quelle di Battiato e di Nove sono vite parallele che parallele non sono, se non altro per questioni cronologiche. Battiato è nato a Jonia, Catania, nel 1945. Nove a Viggiù, Varese, nel 1967. Il padre di Battiato faceva il camionista, i genitori di Nove erano edicolanti. Ma arzigogolando e zigzagando, le loro vite si sono intrecciate nell’aver captato religiosamente gli stessi schemi di costellazioni: un presente in cui tutto iniziava a mischiarsi alla rinfusa, l’epifania della merce degli anni Ottanta che annunciava quello che siamo oggi.

 

I marchi, gli elenchi di prodotti, i ricordi d’infanzia, gli esotismi, le mode – il “bagnoschiuma assurdo” di Nove e “il free jazz punk inglese” di Battiato – non sono più cose tra le cose, diventano apparizioni assurde, meravigliose e repellenti, che si rivelano per quello che sono: reliquie del nuovo che appare già come scheletro. Nell’Italia ancora cattolica e comunista degli anni Ottanta, l’intuizione del permanere del sacro non poteva che apparire anticonformista, per quanto la merce fosse già stata definita da Marx come “una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici”.

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La nostalgia di Battiato per l’impossibile e per l’improbabile che si esprime in forma di elenco – “le serenate all’istituto magistrale” e “l’ira funesta dei profughi afgani” – e l’edicola dei genitori di Aldo Nove sono, in fondo, la stessa cosa: un inventario stupefatto del presente che nasce o non svanisce del tutto, e che perciò può apparire prodigioso. Il loro metodo non è stato mischiare alto e basso, ma rendere di massa, o almeno di successo, lo sperimentalismo delle avanguardie. Avere avuto fede nel fatto che la cultura e l’attenzione possono funzionare da filtri e che nulla di umano può mai esserci estraneo, neppure la pubblicità, i cori russi, i gesuiti euclidei, le mille bolle blu, il gratta e vinci e il cavallo della Vidal (o le scarpe della Lidl che, infatti, oggi vanno a ruba).

 

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Essere assolutamente moderni, come comandava Rimbaud, significa essere disposti a correre il rischio di passare di moda e sentirsi fuori tempo, inutilizzabili come “dischi molli”, i flexy-disc che Aldo Nove trovò da bambino nella soffitta dell’edicola e sui quali scoprì Battiato. Non esiste un’alternativa, perché sperare di trasformarsi in classici è un’altra forma della decadenza. Si può tacere oppure sforzarsi di continuare. “Fuoco su Babilonia”, la raccolta delle poesie di Aldo Nove scritte tra il 1981 e il 1996, sarà pubblicata da Feltrinelli tra febbraio e marzo. I primi versi del libro sono stati scritti quando Nove aveva dodici anni.

La pagina si riempie
D’acuminate punte
D’amore e lì soltanto
La vita mi risponde.

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