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Minority report

È finita l’èra del nichilismo postmoderno in cui tutto va bene

Giovanni Maddalena

Ne "Gli Aristogatti" un disclaimer mette in guardia dagli stereotipi presenti nel film. Siamo in un’epoca di ritorno al realismo, forse troppo duro, e alla normatività, forse troppo violenta

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Se cercate gli “Aristogatti” su Disney+, vi appare una scritta che comincia così: “Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone e di culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono oggi”. Poi va avanti – in stile un po’ sovietico – dicendo che, nonostante questo, ve lo faranno vedere per educarvi, come insegnamento su quanto fosse tutto sbagliato, anche se qualche sospetto sul fatto che invece sia solo per continuare a fare un po’ di incasso vi sfiora. Del resto, se togliessero tutti i film che hanno rappresentato gli stereotipi del loro tempo, non andreste più su Disney+ perché non ci sarebbe nulla da guardare se non il film dell’anno in corso.

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Se cercate gli “Aristogatti” su Disney+, vi appare una scritta che comincia così: “Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone e di culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono oggi”. Poi va avanti – in stile un po’ sovietico – dicendo che, nonostante questo, ve lo faranno vedere per educarvi, come insegnamento su quanto fosse tutto sbagliato, anche se qualche sospetto sul fatto che invece sia solo per continuare a fare un po’ di incasso vi sfiora. Del resto, se togliessero tutti i film che hanno rappresentato gli stereotipi del loro tempo, non andreste più su Disney+ perché non ci sarebbe nulla da guardare se non il film dell’anno in corso.

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Non mi dilungo sulle illogicità di questo tipo di cultura che per relativizzare valori che si presumono assoluti ne inventa altri ben più assoluti e che analizza i film non per il loro significato intrinseco ma per un contesto estrinseco. “Gli Aristogatti” chiaramente voleva affermare il trionfo dell’intelligenza sulla ricchezza, dell’amore sulla malvagità, dell’arte sulla violenza e non era preoccupato, ovviamente, di promuovere standard di genere o di razza. Certe analisi sembrano quelle della signora bolognese che guardando una partita di calcio diceva: “Ma poveri ragazzi, perché correre in mutande tutti per avere un pallone, non ne possiamo regalare uno a testa?”.

 

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Non è una grande scoperta che qualsiasi prodotto culturale risenta del proprio tempo. Invece della scritta in stile sovietico bastava scrivere: “Gli Aristogatti” (1970). Quando uno legge l’Iliade, non pensa di trovarci una condanna della violenza – e non ha bisogno del disclaimer iniziale – e così se uno guarda un film degli anni 70, non si aspetterà di trovare una visione di famiglia allargata (anche se, tra l’altro, “Gli Aristogatti” con le sue protagoniste single è molto progressista).

 

 

L’aspetto più interessante della scritta-omaggio al pensiero unico è però un altro, che solleva un problema. Se “erano sbagliati allora e lo sono oggi” stiamo effettivamente dicendo che ci sono valori eterni pur nel cambiamento continuo della società. Uno storicismo radicale vorrebbe che i valori cambino perennemente con la società e la cultura. La scritta dimostra invece quanto sia finita l’èra del nichilismo postmoderno in cui tutto va bene e i valori sono indifferenti (anything goes). Siamo in un’epoca di ritorno al realismo, forse troppo duro, e alla normatività, forse troppo violenta. Eppure la domanda filosofica, tolta dalla violenza, è buona: che cosa rimane dei valori mentre cambiano? C’è qualcosa di eterno, anche se vago, che resiste sempre al tempo?

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Per rimanere ai poveri “Aristogatti”, l’amore, la musica, l’intelligenza, anche se letti in modi diversi sono sempre rimasti – vagamente – al cuore dei valori occidentali. In che modo sono rimasti? Perché sono rimasti, mentre sono cambiate le forme della loro rappresentazione (l’amore romantico degli “Aristogatti” non è proprio identico a quello di Ettore per Andromaca)?

 

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Forse i valori rimangono proprio in modo vago, cioè non totalmente determinato, mentre le varie epoche e culture li determinano, con inevitabili parti caduche e parti perenni. Sarebbe una conferma del fatto che il valore è inesauribile e l’interpretazione infinita, come diceva l’ermeneutica del miglior Luigi Pareyson. È un discorso esageratamente sofisticato per i poveri “Aristogatti”? Eppure, se li si vuol prendere sul serio, allora bisogna farlo fino in fondo, con un’analisi filosofica ed epistemologica adeguata; altrimenti, lasciateci godere la fiaba con i suoi valori.

 

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