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La rivolta dei fighetti

Mariarosa Mancuso

Cinema e teatri chiusi. Insorge il mondo della cultura italiana. Non che prima del Covid se la passasse meglio

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"Non è la rivolta dei fighetti”, puntualizza Alessandro Baricco in un’intervista su Repubblica, a proposito dei cinema e dei teatri chiusi per pandemia. Assieme alle palestre (chiuse) e alle chiese (aperte), i luoghi dello spettacolo vengono collocati – dallo scrittore che ha rivelato i segreti del “Game” – nella pomposa categoria “fonti della nostra forza fisica e morale”. Chi scrive (sincera confessione, pensate quel che volete) si è reso conto che davvero eravamo messi male alla notizia che il Festival di Cannes in calendario lo scorso maggio era stato cancellato (solo il ’68 c’era riuscito, prima). Un po’ di speranza è tornata con la Mostra di Venezia, ma è durata pochissimo.

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"Non è la rivolta dei fighetti”, puntualizza Alessandro Baricco in un’intervista su Repubblica, a proposito dei cinema e dei teatri chiusi per pandemia. Assieme alle palestre (chiuse) e alle chiese (aperte), i luoghi dello spettacolo vengono collocati – dallo scrittore che ha rivelato i segreti del “Game” – nella pomposa categoria “fonti della nostra forza fisica e morale”. Chi scrive (sincera confessione, pensate quel che volete) si è reso conto che davvero eravamo messi male alla notizia che il Festival di Cannes in calendario lo scorso maggio era stato cancellato (solo il ’68 c’era riuscito, prima). Un po’ di speranza è tornata con la Mostra di Venezia, ma è durata pochissimo.

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Figuriamoci se possiamo rallegrarci per i cinema (di nuovo) chiusi, e le inevitabili conseguenze. I film che abbiamo voglia di vedere sono rimandati a chissà quando, per le crisi di astinenza soccorre lo streaming, ma ovviamente il Borat numero due, nella solitudine della cameretta, fa meno ridere che in una sala affollata. Non sarà la rivolta dei fighetti, però molto le somiglia, se leggiamo le motivazioni, i manifesti anti chiusura, i commenti di teatranti e cinematografari. Non sembra neanche possibile – si tratta di persone che per mestiere comunicano e sono abituate a stare davanti al pubblico – un’infilata di frasi e ragionamenti più irritante.

 

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Più che sacrosanto il diritto di volere andare avanti con il business, dopo una stagione già compromessa. E se business vi sembra troppo audace – ma di questo si tratta – con l’attività sui palcoscenici e sul set. Non si reggono le parole pronunciate in maiuscolo, il tono solenne, e la convinzione che senza cinema e teatri l’identità italiana si sbriciolerebbe all’istante. Ognuno ha il diritto di pensare che il suo mestiere sia indispensabile per la comunità. E il più meritevole di andare avanti in presenza di circostanze avverse (lo pensano perfino tanti giornalisti, che un attimo dopo si dichiarano “scomodi, a schiena dritta, fuori dal coro”).

 

Ma fino a qualche mese fa – facciamo prima di marzo – le circostanze avverse del cinema e del teatro erano riassunte in tre parole: “Mancanza di pubblico”. Non c’era la fila per entrare, non c’era il tutto esaurito, si parlava di crisi, si chiedevano e ricevevano finanziamenti dallo stato. Tutto sparito. Un marziano ne ricaverebbe che prima del virus andava tutto a meraviglia. E ora tutto crolla, dalla Scala all’ultimo dei teatrini autogestiti che “tolgono i ragazzi dalla strada”. Viene meno “il nutrimento per l’anima”, che ha anche il gran vantaggio di non ingrassare, così risparmiate sulla palestra.

 

Si invocano le occasioni “per elaborare tutti insieme la pandemia”. Mai che qualcuno si lasci sfuggire la parola “divertimento”. Altra grande occasione persa (dopo la levata di scudi che accompagnò la chiusura delle librerie) per togliere dalla cultura quel sovrappiù di religiosa compunzione che sempre l’accompagna. In Italia, perlomeno. A New York hanno chiuso la Metropolitan Opera a settembre, saltando una stagione intera con l’intenzione di riaprire a settembre 2021 e nessuno ha urlato allo scandalo. Hanno preso atto che non ci sono le condizioni (e da allora ogni tre giorni arriva una mail che offre streaming, registrazioni, gadget – abbiamo messo gli occhi su un cigno lavorato a maglia, con le gambette da ballerina). Sembra che anche Angela Merkel stia per limitare le attività culturali. Ma lì hanno una visione laica della cultura, e gli anticorpi per resistere agli svolazzi retorici.

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