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La bella retromarcia

Maurizio Crippa

Un colpo di teatro in Brasile per dire no a Bolsonaro sul Covid e un video alla Biennale di Berlino. L’arte per cambiare

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Willy di Colleferro non tornerà indietro dalla morte, non torneranno indietro l’afroamericano schiacciato né il trumpiano bianco sparato. Navalny può forse tornare dalla sua soglia al confine dei morti, ma non lo potranno fare migliaia di vittime del Covid. Soprattutto le tante che forse potevano salvarsi, ma in certi paesi come il Brasile sono vittime non solo della malattia ma anche di politiche feroci, inadeguate, negazioniste.

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Willy di Colleferro non tornerà indietro dalla morte, non torneranno indietro l’afroamericano schiacciato né il trumpiano bianco sparato. Navalny può forse tornare dalla sua soglia al confine dei morti, ma non lo potranno fare migliaia di vittime del Covid. Soprattutto le tante che forse potevano salvarsi, ma in certi paesi come il Brasile sono vittime non solo della malattia ma anche di politiche feroci, inadeguate, negazioniste.

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Non possono fare marcia indietro, i morti: perché non si può ma anche perché a preparare quelle morti sono state le parole, i pensieri, i gesti dell’odio. Nell’estate in cui abbiamo visto abbattere le statue, in cui la cancel culture ha rotto gli ultimi indugi, nell’anno irragionevole in cui i discorsi e le parole sembrano bloccate. E il linguaggio è spesso il vero mandante. Persino gli artisti a volte diventano o vittime, o ciechi esecutori. Ma a volte l’arte è capace di cambiare il percorso, di ribaltare il senso, di uscire dalla gabbia. E di offrire, con un colpo d’occhio o un’intuizione, una storia diversa. Come in un video – o una video istallazione come si ama dire – vista alla Biennale di Berlino 2020 aperta lo scorso sabato.

 

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Si vedono automobili in doppia corsia che procedono lentamente in retromarcia lungo una grande arteria di San Paolo, l’Avenida Paulista. Si vedono i volti delle persone che guidano queste auto nella notte e in retromarcia, o meglio se ne vedono gli occhi, i volti sono coperti dalle mascherine anti Covid. Le luci entrano nel buio degli abitacoli dalla strada, dalle auto e dai bus che passano sulla carreggiata opposta. I volti di giovani e anziani, di uomini e donne sono rivolti all’indietro, nella direzione di (retro)marcia.

 

Occhi attenti, come per ognuno quando si impegna in una simile manovra. Ma qualcosa di più di attenti: intensi, muti, mentre li sorprende l’obiettivo. Così che ogni paio d’occhi, offrendosi allo sguardo, sembra dire qualcosa, una denuncia, un dolore, un invito: si può fare di meglio di rimbalzare l’odio e contare i morti. Si può provare a cambiare senso di marcia. L’idea è semplice, intuitiva, forte. Il 4 agosto scorso il Teatro da Vertigem – uno degli ensemble di sperimentazione teatrale più attivi del Brasile – ha organizzato una performance. Ha messo in scena dal vero, sulla strada, un centinaio di auto per recitare un corteo, o un funerale, per i morti del Covid che il presidente Bolsonaro continua a negare, o a non curare.

 

Disposte sulle due corsie della carreggiata, bloccando il traffico, hanno imboccato in retromarcia i sette chilometri del grande viale che attraversa il distretto finanziario della metropoli paulista. In direzione del Concolaçao Cemetery, uno dei più importanti della città. In silenzio, in ordine, con i fari della retro accesi. Fino a raggiungere il luogo, e un trombettista con i lunghi capelli ricci e i lineamenti creoli in cima a un bastione del cimitero ha suonato la sua tromba.

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Il video portato alla Biennale di Berlino dura una decina di minuti ipnotici, di cinema-arte rallentato. La regia è di Eryk Rocha, figlio di Glauber Rocha, grande regista e nume tutelare negli anni Sessanta del Cinema Novo brasiliano, autore politico di provocazioni visionarie e di magnifici film oggi largamente inguardabili, come Il dio nero e il diavolo bianco e Antonio das mortes. Ma questo è solo un dettaglio, note di regia.

 

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Il senso della performance del Teatro da Vertigem, la Marcha a Ré, la retromarcia, è tutto in quel significato delle cose da capovolgere, la possibilità (o impossibilità, ognuno scelga per sé) di smetterla con certe cose sbagliate. Ed è tutto in quella parola con cui non solo i brasiliani definiscono l’atteggiamento di Jair Bolsonaro sull’epidemia del Covid-19. La parola è “necropolitics”, e ovviamente è un termine che viene dalla sociologia anticoloniale, ma indica un discorso politico, prima ancora che un potere, che mette in conto la morte (degli altri) come un fattore necessario. Utile.

 

I dieci minuti del funerale in retromarcia di Rocha e del Teatro da Vertigem nel Brasile di Bolsonaro invece riescono a fare quello che l’arte dovrebbe saper fare: inventare nuovi modi di vedere, ribaltare l’ovvio e la coazione a ripeterlo. Nell’estate in cui abbiamo visto le statue abbattute, persino quelle innocenti (tanto nessuna statua è innocente, no?) e gli slogan contrapposti, infilare in retromarcia un viale in direzione cimitero per dire senza parole, solo con un gesto che va cambiato tutto, è uno di quei colpi di genio semplici dell’arte. Che non fermano né il Covid né Bolsonaro, ma il linguaggio sì.

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