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“La diversità è l’oppio delle democrazie omogeneizzate”. Parla Russell Jacoby

Giulio Meotti

Per l'autore di "On Diversity" l'attuale uniformità sta inghiottendo la libertà di dire e di pensare. E la parola è paralizzata, perché costretta a essere benigna 

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Roma. Diversity. A mettere in discussione questo must ideologico, ma da sinistra, è un professore dell’Università della California, Russell Jacoby, in un libro pubblicato dalla Penguin, “On Diversity. The Eclipse of the Individual in a Global Era”. Diversità. Chi potrebbe dirsi contrario? Ma per l’uso che oggi se ne fa, una diversità al servizio dell’omogeneità. “Consideriamo Erasmo nel XVI secolo” dice Jacoby al Foglio. “Senza varietà, dice Erasmo, si ‘gracchiano ripetutamente le stesse parole’. Oggi ci muoviamo nella direzione opposta. Henry Ford diceva: ‘Un cliente può far dipingere l’auto di qualsiasi colore desideri purché sia ​​nera’. Oggi puoi avere qualsiasi colore e infinità di opzioni, ma è pur sempre un’auto. Nonostante le chiacchiere sulla diversità, il mondo sta diventando meno diversificato. E’ qui che entra in gioco la ‘sete di diversità’. A mano a mano che la società diventa più omogenea, le persone si aggrappano alle differenze. Oggi la diversità è l’oppio dei popoli. In questo senso, l’uniformità è alla base dell’ossessione per la diversità. Quando le differenze reali si contraggono, le persone feticizzano le particolarità. E queste identità sono tutte orientate verso gli stessi beni di consumo e la stessa visione della vita. La vera diversità si indebolisce nell’èra dell’omogeneità che, allo stesso tempo, alimenta la mania per la diversità surrogata”.

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Roma. Diversity. A mettere in discussione questo must ideologico, ma da sinistra, è un professore dell’Università della California, Russell Jacoby, in un libro pubblicato dalla Penguin, “On Diversity. The Eclipse of the Individual in a Global Era”. Diversità. Chi potrebbe dirsi contrario? Ma per l’uso che oggi se ne fa, una diversità al servizio dell’omogeneità. “Consideriamo Erasmo nel XVI secolo” dice Jacoby al Foglio. “Senza varietà, dice Erasmo, si ‘gracchiano ripetutamente le stesse parole’. Oggi ci muoviamo nella direzione opposta. Henry Ford diceva: ‘Un cliente può far dipingere l’auto di qualsiasi colore desideri purché sia ​​nera’. Oggi puoi avere qualsiasi colore e infinità di opzioni, ma è pur sempre un’auto. Nonostante le chiacchiere sulla diversità, il mondo sta diventando meno diversificato. E’ qui che entra in gioco la ‘sete di diversità’. A mano a mano che la società diventa più omogenea, le persone si aggrappano alle differenze. Oggi la diversità è l’oppio dei popoli. In questo senso, l’uniformità è alla base dell’ossessione per la diversità. Quando le differenze reali si contraggono, le persone feticizzano le particolarità. E queste identità sono tutte orientate verso gli stessi beni di consumo e la stessa visione della vita. La vera diversità si indebolisce nell’èra dell’omogeneità che, allo stesso tempo, alimenta la mania per la diversità surrogata”.

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L’omogeneità è anche una minaccia per la democrazia, ci dice Jacoby. “Che cos’è una cittadinanza informata se ottiene le informazioni da tweet e videoclip? Il mio libro è imperniato sugli scritti di J. P. Mayer, un rifugiato ebreo tedesco dal nazismo che finì nel Regno Unito e divenne uno studioso di Tocqueville. Il suo libro del 1939 su Tocqueville era intitolato ‘Prophet of the Mass Age’. Dovremmo prestare attenzione al suo avvertimento”.

  

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L’omogeneità sta inghiottendo la libertà di dire e di pensare. “La novità, almeno negli Stati Uniti, è fino a che punto la sinistra e la destra si stiano scambiando di ruolo. La sinistra, storicamente in prima linea per la libertà di parola, ha fatto marcia indietro e ha cominciato a sostenere che la parola è una forma di violenza che va censurata. Quando l’editore del giornale danese che pubblicò le vignette che denunciavano l’islam ha parlato nel campus in cui insegno, è stato sponsorizzato da un gruppo conservatore. Diverse centinaia di persone di sinistra hanno protestato quando il Pen, l’organizzazione di scrittori, ha consegnato un premio a Charlie Hebdo. Per questi manifestanti, essere assassinati per aver praticato la libertà di parola è deplorevole, ma meno deplorevole che insultare i musulmani. Naturalmente, questo significa che la libertà di parola viene paralizzata. Dovrebbe attenersi a espressioni benigne, preferibilmente sulla diversità e l’inclusione. In questo mondo nuovo, la libertà di parola finisce dove inizia l’insulto”.

  

Per Mayer, Tocqueville aveva capito qualcosa sull’“ascesa delle masse” e sulla facilità con cui una democrazia degrada in dittatura. Nel suo libro del 1840, Tocqueville scrisse che il fenomeno non era limitato agli Stati Uniti: “Troviamo ovunque gli stessi modi di agire, pensare e sentire”. Ovunque le stesse parole d’ordine, il cui successo consiste nel far coincidere la società ideale con gli aspetti abnormi della società attuale.

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