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In morte di una rivista di idee

Giuliano Ferrara

La fine di Le Débat ci ricorda cosa rischia la democrazia se consegna il rapporto tra storia, società e politica più alle celebrità che agli intellettuali

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La notizia della chiusura di una rivista di idee, a quarant’anni dalla sua pubblicazione, è una notizia che interessa un piccolo circolo di affezionati. Però la morte a settembre di Le Débat (Gallimard editore) è stata annunciata da due testi in memoriam scritti dai fondatori, Pierre Nora e Marcel Gauchet, che sono utili per riflettere e capire il tempo in cui viviamo. Le Débat è, era, una rivista di idee e di analisi di tipo generalista, a spettro ampio di interessi e di stili, con una tendenza voluta come enciclopedica alla ricerca di un sapere non settoriale, non un fascicolo per esperti né una tribuna a disposizione di una causa. Il suo ambito politico fu dalla nascita (1980) pluralista, convergente verso il centro senza ortodossie liberali, senza dottrinarismi, aperto a quel che di buono esiste a sinistra e a destra. Nel paese classico delle idee e degli intellettuali, la Francia dei lumi dei salons e dei caffè, fu partorito un periodico di successo che non puntava all’egemonia di un gruppo, nel contesto vuoi della Guerra fredda vuoi degli scontri all’ombra del marxismo e dello strutturalismo, bensì a qualcosa di abbastanza nuovo: l’accoglienza sorvegliata e lo stimolo di analisi e opinioni di lungo corso, capaci di rifondare il concetto stesso di attualità e definire in modo inedito, e tutt’altro che neutrale, il perimetro in cui vivono diverse visioni e diversi modi di pensare presente passato e futuro. In quattro decenni il mondo si è globalizzato, come si dice, si sono trasformate le nozioni di individuo società e tecnica, economia diritto e politica, e il risultato, nelle parole definitive di Nora, è che “alla nostra offerta non corrisponde più una domanda”.

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La notizia della chiusura di una rivista di idee, a quarant’anni dalla sua pubblicazione, è una notizia che interessa un piccolo circolo di affezionati. Però la morte a settembre di Le Débat (Gallimard editore) è stata annunciata da due testi in memoriam scritti dai fondatori, Pierre Nora e Marcel Gauchet, che sono utili per riflettere e capire il tempo in cui viviamo. Le Débat è, era, una rivista di idee e di analisi di tipo generalista, a spettro ampio di interessi e di stili, con una tendenza voluta come enciclopedica alla ricerca di un sapere non settoriale, non un fascicolo per esperti né una tribuna a disposizione di una causa. Il suo ambito politico fu dalla nascita (1980) pluralista, convergente verso il centro senza ortodossie liberali, senza dottrinarismi, aperto a quel che di buono esiste a sinistra e a destra. Nel paese classico delle idee e degli intellettuali, la Francia dei lumi dei salons e dei caffè, fu partorito un periodico di successo che non puntava all’egemonia di un gruppo, nel contesto vuoi della Guerra fredda vuoi degli scontri all’ombra del marxismo e dello strutturalismo, bensì a qualcosa di abbastanza nuovo: l’accoglienza sorvegliata e lo stimolo di analisi e opinioni di lungo corso, capaci di rifondare il concetto stesso di attualità e definire in modo inedito, e tutt’altro che neutrale, il perimetro in cui vivono diverse visioni e diversi modi di pensare presente passato e futuro. In quattro decenni il mondo si è globalizzato, come si dice, si sono trasformate le nozioni di individuo società e tecnica, economia diritto e politica, e il risultato, nelle parole definitive di Nora, è che “alla nostra offerta non corrisponde più una domanda”.

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Nora aggiunge significativamente che “storia, società e politica” non sono più oggetto di vero dibattito, di coinvolgimento, di interrelazioni costitutive di un pensiero generale in senso proprio, mentre prevalgono altri discorsi pubblici. Con le sue parole: “La nostra rivista dipendeva da un trittico, storia, politica, società, che senza dubbio si è spostato verso altri centri di interesse: la biodiversità, lo specismo, le crisi climatiche, sanitarie. Ad altri spetta il compito di ricerca e analisi!”. Prevalgono inoltre altre pratiche di lettura, sollecitate dall’evoluzione dell’accesso digitale all’informazione, pratiche più frammentate, settoriali, specialistiche, con gli intellettuali e il loro mondo di visioni, interpretazioni, enciclopedismi e idee, tipicamente organizzati nel concetto di rivista, soppiantati da una vasta espertocrazia. 

 

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Di tutto questo ci si può fare una ragione, ovvio. La rivista parigina, per quanto una scomparsa sia deludente, nasce e muore per definizione. O si trasforma, come non è stato il caso per il rigoroso Le Débat nel suo quasi mezzo secolo di vita. Altri luoghi di informazione generalista e di idee, diversi, sopravvivono, e alcuni nel mondo anglosassone conducono vita abbastanza agile e grassa. Sennonché l’altro fondatore, Marcel Gauchet, usa nel suo testo toni che sfiorano l’apocalittico. E’ finita la curiosità intellettuale, la curiositas in senso umanistico, dice, “oggi la vita pubblica si tiene a polemiche mediatiche in cui ciascuno è contento di affermare qualcosa portando come prova la veemenza dell’assunto”, “la ricerca di una visione di insieme non mobilita più alcuna attenzione” e questo è un problema per la democrazia, che senza un pensiero generale su storia, società e politica diviene un tutto astratto, estraneo, consegnando alle expertises delle nuove élite un compito, un mestiere, che alla fine si muove nel vuoto delle idee, “visto che la rivista è una personalità intellettuale”, ha un’apertura multidisciplinare e esprime una responsabilità sul destino comune radicata nella storia, nell’esperienza sociale e nella politica. Il tutto risulta da “una rivoluzione culturale che non dice il suo nome” perché oggi contano solo la tecnica, l’economia, il diritto, contano solo le competenze di settore, e le élite perdono nella “società della conoscenza”, per non parlare della sostituzione delle celebrità alla figura dell’intellettuale, ogni rapporto con la nozione di cittadinanza, con quella generalità dei saperi politici essenziale alla definizione di una società democratica. 

 

Forse è solo morta una rivista, forse bisogna capire come questi quarant’anni hanno mutato le radici di un vecchio rapporto tra cittadini società e stato che s’impiantavano nella terra della curiosità e dell’apertura mentale più che negli specialismi sordi a quel tutto che siamo.

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