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A 250 anni dalla nascita, il pensiero di Hegel influenza ancora la cultura italiana

Giuseppe Bedeschi

Viaggio alle radici delle filosofie di Croce e Gentile per l'anniversario del pensatore tedesco

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Il quotidiano Repubblica ha dedicato una intera pagina della sezione cultura a Hegel per i 250 anni trascorsi dalla sua nascita (27 agosto 1770). In questo lungo articolo, affidato alla penna di Carlo Galli, si afferma che “quella di Hegel è la più ambiziosa prestazione filosofica degli ultimi due secoli; ha aperto un orizzonte di senso che ha coinvolto molta della riflessione filosofica seguente, anche quella che dall’avversione per lui ha tratto ispirazione ed energia: Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger e i loro seguaci francesi (per non parlare di Marx, che con Hegel ha ingaggiato una lotta da cui non si è mai del tutto liberato)”. Più volte, dice Galli, Hegel è stato dato per morto, e più volte ha conosciuto “rinascite” in chiavi diverse: dal neo-idealismo italiano dei primi decenni del XX secolo al nuovo interesse di cui è stato oggetto in Francia negli anni Trenta, al “marxismo occidentale” di Lukàcs e di Korsch e poi dei “francofortesi”.

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Il quotidiano Repubblica ha dedicato una intera pagina della sezione cultura a Hegel per i 250 anni trascorsi dalla sua nascita (27 agosto 1770). In questo lungo articolo, affidato alla penna di Carlo Galli, si afferma che “quella di Hegel è la più ambiziosa prestazione filosofica degli ultimi due secoli; ha aperto un orizzonte di senso che ha coinvolto molta della riflessione filosofica seguente, anche quella che dall’avversione per lui ha tratto ispirazione ed energia: Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche, Heidegger e i loro seguaci francesi (per non parlare di Marx, che con Hegel ha ingaggiato una lotta da cui non si è mai del tutto liberato)”. Più volte, dice Galli, Hegel è stato dato per morto, e più volte ha conosciuto “rinascite” in chiavi diverse: dal neo-idealismo italiano dei primi decenni del XX secolo al nuovo interesse di cui è stato oggetto in Francia negli anni Trenta, al “marxismo occidentale” di Lukàcs e di Korsch e poi dei “francofortesi”.

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Le considerazioni che Galli svolge nel suo articolo sulla filosofia di Hegel sono, a mio avviso, accettabili. E tuttavia c’è una cosa che colpisce: egli non si sofferma sull’influsso massiccio che il pensatore tedesco ha avuto sul “neoidealismo” italiano della prima metà del Novecento. Senza Hegel, le filosofie di Croce e di Gentile non ci sarebbero state. E l’influsso di Hegel ha operato a lungo sulla cultura italiana, fino ai nostri giorni. Su ciò vale la pena di riflettere.

 

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Croce scrisse nel 1907 un famoso saggio, “Ciò che è vivo e ciò che è morto nella filosofia di Hegel”, in cui rifiutava la filosofia della storia e la filosofia della natura del pensatore tedesco, ma ne faceva proprio il principio della storicità dialettica. A questo principio Croce tenne sempre fermo. Per lui, la grandezza di Hegel andava cercata nella concezione dialettica della realtà: nella tesi, cioè, che la realtà è divenire spirituale, attraverso lotte, conflitti, opposizioni, contrasti. Il negativo era dunque la molla dello svolgimento, l’opposizione l’anima stessa del reale. Hegel non solo non aveva cancellato dalla storia il male, il brutto, il falso, il vano (nulla – diceva Croce – sarebbe stato più alieno dalla sua concezione drammatica, e in un certo senso tragica, della realtà), bensì li aveva collocati al centro della vita e della storia. Il bene non poteva sussistere senza il male, né il male senza il bene. Bene e male erano termini opposti e correlativi; e l’affermazione dell’uno affermava l’altro. Hegel li negava entrambi, ma per conservarli nella sintesi dialettica, cioè nella concretezza della vita.

 

Senonché, la concezione neohegeliana di Croce aveva un limite formidabile nella natura, poiché, egli diceva, gli uomini “non conoscono” la natura, in quanto “non l’hanno fatta e non la fanno”. “Non la conoscono e non vogliono e non possono conoscerla, e rimane per loro un libro chiuso… L’uomo non ricostruisce, non pensa e non scrive la storia degli esseri naturali, perché i loro bisogni di azione non sono i suoi”. Da queste proposizioni discendeva che le scienze naturali “non sono propriamente cognizioni ma astrazioni eseguite sulla vivente realtà del mondo e, come astrazioni, prodotto di un’operazione pratica, onde le cose vengono fermate e contrassegnate per ritrovarle e servirsene all’uopo, e non già per intenderle; ché anzi quell’atto stesso di astrazione le rende inintelligibili, ne fa cose esterne, oggetti senz’anima, forze cieche senza lo spirito che le muove, che vengono ordinate e classificate, messe in relazione tra loro, misurate e calcolate e non punto conosciute”. In breve, le scienze naturali sono intessute di “pseudoconcetti”, che hanno utilità pratica, ma nessun valore conoscitivo. E’ inutile dire che questo atteggiamento verso le scienze naturali ha inciso negativamente sulla cultura italiana e sulla ricerca scientifica nel nostro paese.

 

Quanto al neohegelismo di Gentile, esso si è manifestato soprattutto nella sua concezione dello “stato etico”, la quale è stata la chiave di volta della sua adesione al fascismo. Come ben vide Croce, l’errore capitale di tale concezione consisteva “nell’aver concepito la vita morale nella forma, a lei inadeguata, della vita politica e dello stato. Ma una volta concepita la moralità come “stato etico”, era inevitabile concluderne che la moralità concreta fosse tutta in quelli che governano, nell’atto in cui governano, mentre i loro avversari dovevano essere considerati avversari della morale in atto. Una concezione profondamente illiberale, questa, che avrebbe influito sulla forma mentis di movimenti di estrema destra anche nel secondo Dopoguerra.

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