PUBBLICITÁ

Le fusa di carta

Sara Mostaccio

Da Esopo a Bulgakov passando per i roghi medievali. Come i gatti sono entrati nella letteratura e ci si sono trovati a proprio agio

PUBBLICITÁ

Ha esultato chi in quarantena si è ritrovato ad aver per casa un cane. Un guinzaglio in mano in quei giorni reclusi ha significato possedere la chiave della libertà e ha trasformato in occasione di uscita quel che dopo anni a portar fuori il cane si percepiva come schiavitù. Meno bene è andata a chi aveva un gatto. Non che sia mancata a taluni l’audacia di infilare il collare al micio in guisa di scusa per l’evasione. I gatti tuttavia hanno saputo esser salvifici in altro modo rispondendo al nostro bisogno di consolazione. Con un gatto sulle ginocchia a far le fusa, le interminabili giornate condite d’ansia e noia con un perenne orecchio al tg sono state meno amare. Quando al gatto è piaciuto di concederci i suoi favori, certo. Un tempo si credeva che l’unico modo perché restasse in casa fosse sottrargli un po’ di pelo da mettere sotto la gamba del tavolo. Che funzionasse resta dubbio, non è creatura che possa trattenersi contro volontà. L’ho imparato presto dalla genia felina che ha affollato la mia infanzia in campagna. Lo sapeva anche Flaiano se diceva “il mio gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura”. La letteratura dal canto suo si è lasciata affascinare da quello sguardo ipnotico che Anna Maria Ortese definiva divino. Se ne fece ammaliare Elsa Morante che alla sua siamese Minna dedicò una poesia.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Ha esultato chi in quarantena si è ritrovato ad aver per casa un cane. Un guinzaglio in mano in quei giorni reclusi ha significato possedere la chiave della libertà e ha trasformato in occasione di uscita quel che dopo anni a portar fuori il cane si percepiva come schiavitù. Meno bene è andata a chi aveva un gatto. Non che sia mancata a taluni l’audacia di infilare il collare al micio in guisa di scusa per l’evasione. I gatti tuttavia hanno saputo esser salvifici in altro modo rispondendo al nostro bisogno di consolazione. Con un gatto sulle ginocchia a far le fusa, le interminabili giornate condite d’ansia e noia con un perenne orecchio al tg sono state meno amare. Quando al gatto è piaciuto di concederci i suoi favori, certo. Un tempo si credeva che l’unico modo perché restasse in casa fosse sottrargli un po’ di pelo da mettere sotto la gamba del tavolo. Che funzionasse resta dubbio, non è creatura che possa trattenersi contro volontà. L’ho imparato presto dalla genia felina che ha affollato la mia infanzia in campagna. Lo sapeva anche Flaiano se diceva “il mio gatto fa quello che io vorrei fare, ma con meno letteratura”. La letteratura dal canto suo si è lasciata affascinare da quello sguardo ipnotico che Anna Maria Ortese definiva divino. Se ne fece ammaliare Elsa Morante che alla sua siamese Minna dedicò una poesia.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

“Tua la solitudine, tuo il segreto…”: Borges assegnava al gatto la padronanza di un tempo altro, per noi inconoscibile

In bilico perenne tra l’immagine di mici indifesi in cerca di coccole e quella di creature mai del tutto addomesticate, i gatti sono sempre stati misteriose incarnazioni di un altrove imperscrutabile. Borges assegnava al gatto la padronanza di un tempo altro, per noi inconoscibile: “Tua la solitudine, tuo il segreto. Stai in un altro tempo. Sei il padrone di uno spazio chiuso come il sogno”. Il gatto non appartiene a questo mondo, anzi non appartiene a nessuno come sa bene Holly Golightly in Colazione da Tiffany. Il suo gatto rosso non ha nome “perché in fondo noi due non ci apparteniamo”. Anche mia madre ripeteva che i nostri gatti dovevano restare liberi di andare e venire. Sospetto fosse un trucco per farci rispettare il bando: non dentro casa. Perciò ne ignoravamo la doppia vita, la indovinammo solo quando Tigra tornò incinta e fece sette gattini sullo zerbino e Topo (quale affronto per un tale combattente) si ripresentò alla porta senza un orecchio.

  

PUBBLICITÁ

Una doppia vita conduce anche Il gatto che se ne andava da solo di Kipling. Di giorno vive in famiglia e fa il suo dovere con i topi; di notte è creatura selvaggia che fa ondeggiare minacciosamente la coda. Per Hemingway il gatto può “acconsentire a essere il vostro compagno, non sarà mai il vostro schiavo”. Di gatti ne sapeva qualcosa, nella sua finca cubana accudiva una colonia smisurata. Se ne circondò anche a Key West dove tuttora vivono gli eredi dei suoi amati felini, i veri custodi della casa. Anche il British Museum ebbe due guardiani dal passo felpato. Black Jack a fine ‘800 si aggirava nella sala lettura della sezione manoscritti e Mike era addestrato a cacciar via i piccioni. Una gatta vive persino a Santa Sofia a Istanbul, di recente al centro delle cronache per la riconversione in moschea. Gli, così si chiama, non è stata sfrattata, al contrario è diventata una celebrità e ha persino un account su Instagram. Altri dimorano all’Hermitage di San Pietroburgo, incaricati di tener fuori i topi sin dai tempi di Pietro il Grande. Oggi vivono in spazi non accessibili al pubblico e hanno al loro servizio persino un cuoco. In Russia, ma a Mosca, è ambientato Il mondo secondo Savelij di Grigorij Služitel’ in cui un gatto di strada racconta la città moderna e certi suoi abitanti: un portiere tagiko, un vecchio che recita le poesie di Puškin alle anatre del parco, un fattorino kirghiso.

 

 

Il British Museum ebbe due guardiani dal passo felpato. Altri dimorano all’Hermitage, incaricati di tener fuori i topi

Agli scrittori i gatti piacciono, insomma, che diventino protagonisti dei loro libri o che si aggirino furtivi tra le gambe mentre scrivono. Già Dante teneva sulle ginocchia un gatto nero e Petrarca non sapeva separarsi dalla sua Dulcina. A partire da Esopo e Fedro il gatto è entrato in letteratura ben deciso a restarvi. Ne hanno parlato Erodoto, Cicerone e Plinio il Vecchio e di gatti sono piene le tradizioni di tutto il mondo, dal Giappone alle Americhe, dalla Russia ai paesi scandinavi. L’Islam ricorda il gatto che salvò Maometto dal morso di un serpente, in India e Cina è simbolo positivo, in Thailandia è protagonista di antichi manoscritti detti Tamra Maew. Dei 23 animali rappresentati, 17 sono associati alla fortuna e il resto è foriero di malasorte. I più sfortunati però sono stati i gatti stessi visto che i felini raffigurati si sono estinti.

PUBBLICITÁ

 

In occidente è andata peggio se il gatto è tuttora metafora di difetti umani o vittima di superstizione. I gatti neri vengono sterminati dal Circolo dei Superstiziosi nell’attualissimo racconto di Evghenios Trivizàs, L’ultimo gatto nero. Vi si additano, in quanto diversi, come responsabili di tutte le disgrazie del paese per sviare l’attenzione dai veri colpevoli. Suona familiare?

PUBBLICITÁ

  

 

Il negozio del gatto con Belzebù risale al Medioevo quando si considerava emissario del diavolo o sua incarnazione, associazione rafforzata da un certo suo vizio, quell’attitudine all’indipendenza o addirittura all’insubordinazione. Non a caso nel 1905 il gatto nero divenne simbolo anarchico. Nei secoli bui della caccia alle streghe, per San Giovanni si usava bruciare gatti vivi a far compagnia alle sventurate al rogo. Delle streghe si consideravano i compagni dunque ne condividevano il destino. Né è l’unico caso di associazione alla femminilità. Addirittura in alcune lingue il termine stesso è femminile. E’ vero nel latino feles, nel tedesco (die Katze), nel greco moderno (dove prevale quasi sempre sulla forma maschile pure esistente). Dai versi di Baudelaire emergono affinità tra donna e gatta per le sue caratteristiche di animale flessuoso e sensuale e simili analogie compaiono nell’arte ottocentesca. Se fino ad allora il gatto era stato anche in pittura simbolo del maligno, ora si pone l’accento sulla sua sensualità. L’Olympia di Manet è raffigurata insieme a un gatto. Nero, s’intende.

  

Ma già il ‘700 aveva scoperto la passione felina a cominciare dall’acquaforte di Cochin che ritraeva i gatti d’angora di Madame du Deffand. La ricorda Giovanni Macchia nel suo Teatro delle Passioni insieme a una Histoire des Chats di certo Paradis de Moncrif scritta a maggior gloria dei gatti con intento erudito ma esito pedantesco. Tanto che i suoi detrattori lesti ne scrissero il beffardo seguito, la storia dei topi. I gatti neri comunque non se la passavano meglio delle loro vittime. Per secoli hanno conservato la nomea di creature ambigue, sinistre e misteriose. Eppure era nero il gatto più espansivo mai passato per il nostro cortile, Miu, cui offrimmo asilo in quel caotico spiazzo già abitato da svariati felini, due cani, tutti i bambini del vicinato, un numero esagerato di tartarughe e un’oca che faceva i dispetti ai gatti. Benché sia a conoscenza di numerose convivenze felici tra umani e gatti neri, le superstizioni a loro carico non si sono interrotte se ancora si considera di cattivo auspicio un gatto color della notte che attraversa la strada. Scavando tra le superstizioni del passato apprendo della bizzarra credenza secondo cui se un gatto assiste a una lite familiare andrà a farne pettegolezzo e se miagola di venerdì notte annuncia un litigio. Non miagola ma parla il gatto Behemot di Bulgakov in Il Maestro e Margherita, capace persino di camminare eretto sulle zampe posteriori. Ovviamente è nero e ovviamente è il diavolo.

 

Per secoli hanno conservato la nomea di creature ambigue e sinistre. L’Olympia di Manet è raffigurata insieme a un gatto. Nero, s’intende

Con il Rinascimento i mici tornano a mietere vittime tra gli scrittori affascinati dal loro spirito indomabile. Lope de Vega si spinge a scrivere una Gattomachia che narrando le vicende dell’intrepido soriano Marramachiz e della bella gatta Zapachilda sotto sotto critica gli uomini. E’ un’altra trappola tesa ai gatti, quella dell’antropomorfismo. Gatta si definisce la Cenerentola di Giambattista Basile anche se non è chiaro il perché dal momento che nella storia non compare alcun felino. Forse si fa riferimento a una versione precedente ormai perduta in cui la protagonista si trasformava in animale. Roberto De Simone, che la fiaba di Basile ha musicato e messo in scena nel 1976, riporta una versione della storia ascoltata a Capodimonte in cui Cenerentola è una gallina.

  

Dal ‘500 di gatti si riempiono le fiabe: a Straparola si attribuisce la prima versione del gatto con gli stivali poi ripreso da Basile e Perrault che è anche autore di un’altra favola felina, La gatta bianca, storia di una principessa sotto incantesimo. Uno Stregatto spiega la pazzia ad Alice nel Paese delle Meraviglie un momento prima di svanire lasciandosi dietro solo il suo sardonico sorriso. Ed è un gatto che insegna a volare alla gabbianella nella fiaba di Luis Sepúlveda.

  


Utagawa Kuniyoshi, Gatti rappresentati come le 53 stazioni del Tōkaidō, 1850, collezione privata. Wikimedia Commons

 

Agli autori gattofili di cui abbonda la letteratura di ogni tempo la scrittrice francese Stéphanie Hochet ha dedicato il suo Elogio del gatto in cui racconta come questi indecifrabili animali abbiano saputo occupare tanto le case quanto i libri degli scrittori: ne scrissero Montaigne, Cervantes, Dumas, Cechov, Poe, Lovecraft. E Théophile Gautier, che ai suoi gatti dedicò il libro Serraglio privato anticipando in forma di gustoso racconto personale moderne posizioni antispeciste che sostengono la parità di tutti gli esseri viventi in contrasto con la visione antropocentrica. Pure Doris Lessing parlò della sua vita insieme ai gatti nel romanzo breve Gatti molto speciali in cui riconosce loro caratteristiche umane esplorandone la psicologia. Il gatto assume valenza psicologica, anzi quasi mistica, anche per William S. Burroughs, autore dalla biografia turbolenta ma insospettabilmente tenero con i felini che considerava “compagni psichici”. E’ specialmente il gatto bianco a diventare simbolo della propria interiorità. Ne aveva incontrato uno a Tangeri, lì dove aveva realizzato di essere prossimo alla morte per i suoi eccessi stupefacenti. Fu seguendo il “white cat” che decise di chiudere con la droga.

  


Marc Chagall, La Poete, 1949/50

 

Balzac narra di una aristocratica micia bianca innamorata di un randagio francese che le apparenze le vietano di frequentare

Di gatti scrisse Balzac nel suo Pene d’amore di una gatta inglese. Narra le vicende di una aristocratica micia bianca innamorata di un randagio francese che le apparenze le vietano di frequentare. Che sorpresa quando lo lessi, mi parve tal quale la storia degli Aristogatti, visto quando non ero ancora in grado di leggere. I due innamorati felini in quel caso erano la raffinata Duchessa e Romeo, er gatto der Colosseo libero e vagabondo. Guy de Maupassant nel racconto Sui gatti si sofferma proprio sull’indipendenza di questa piccola tigre non più selvatica e mai domestica che “va dove vuole, visita il suo territorio come gli pare, può dormire su ogni letto, vedere tutto e tutto sentire, conoscere i segreti, le abitudini e le vergogne di casa”. Si sente a suo agio dentro casa ma esige la possibilità della libertà. Quante volte il gatto domestico miagola insistentemente davanti a una porta chiusa perdendo ogni interesse a varcarla appena aperta? Non gli interessa servirsene ma se ne arroga il diritto. Alain accorda intera la libertà alla gatta Saha rinunciando a lei come estremo atto d’amore nell’insolito triangolo amoroso che è La gatta di Colette. Indipendenti, chiassosi e attaccabrighe sono i gatti di strada de Il libro dei gatti tuttofare di T.S. Eliot che zio Pippo recitava a memoria per intrattenere noi bambini. Quando non ci incantava con i racconti dei paladini di Francia raccontava storie di animali. La mia preferita era quella della gatta Catasauqua dalla coda corta. Non lo sapevo ancora ma era di Mark Twain che scrisse diverse storie a tema felino. Ora le pubblica Mursia nella collana Felinamente nel cui catalogo compare anche Considerazioni filosofiche del gatto Murr di Hoffmann, parodia del genere autobiografico in chiave gattesca. E’ un gatto filosofo anche il protagonista di Io sono un gatto di Natsume Soseki. Leggendolo ho immaginato quale dei miei gatti avrebbe potuto esprimersi così: senz’altro Micia che a dispetto del nome un po’ lezioso era molto sussiegosa. Eravamo convinti che disprezzasse i bambini e forse anche i suoi simili visto che fu l’unica a non riempirci la casa di gattini.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ