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Il mosaico del nostro io

Francesco Stocchi

È quello della cattedrale di Otranto: 600 mila tessere di un racconto simbolico, che avvolge e coinvolge

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Un quadrupede dalle lunghe corna con aculei sulle cosce, Sansone che lotta contro un leone, due scimmie che mangiano frutta, un centauro che saetta un cervo, un monaco di fronte a un unicorno, e poi un gigantesco drago alato che stritola fra le sue spire un cervo, una volpe che suona i piatti, una cacciatrice intenta a schioccare l’arco, dannati tormentati dai serpenti, una sirena che si afferra con le mani la coda biforcuta, un essere umano con testa d’asino, un grifone che solleva tra le zampe un capretto, un angelo con bilancia che pesa le alme… Si potrebbe continuare, liberandoci a tale icasticità e viaggiare, abbandonandosi alla fantasia per poi guardarsi intorno e ritrovarsi nella rappresentazione della vita, presunta o reale che sia. Siamo a Otranto, nella sua cattedrale (Santa Maria Annunziata), costruita a metà dell’XI secolo quando la città, prima terra di Bisanzio, venne ridotta in schiavitù dai Normanni.

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Un quadrupede dalle lunghe corna con aculei sulle cosce, Sansone che lotta contro un leone, due scimmie che mangiano frutta, un centauro che saetta un cervo, un monaco di fronte a un unicorno, e poi un gigantesco drago alato che stritola fra le sue spire un cervo, una volpe che suona i piatti, una cacciatrice intenta a schioccare l’arco, dannati tormentati dai serpenti, una sirena che si afferra con le mani la coda biforcuta, un essere umano con testa d’asino, un grifone che solleva tra le zampe un capretto, un angelo con bilancia che pesa le alme… Si potrebbe continuare, liberandoci a tale icasticità e viaggiare, abbandonandosi alla fantasia per poi guardarsi intorno e ritrovarsi nella rappresentazione della vita, presunta o reale che sia. Siamo a Otranto, nella sua cattedrale (Santa Maria Annunziata), costruita a metà dell’XI secolo quando la città, prima terra di Bisanzio, venne ridotta in schiavitù dai Normanni.

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Costretta ad abbandonare il rito greco per quello latino, ridotta al rigido schema del feudalesimo, Otranto venne sottomessa e umiliata. Come atto di resilienza che richiamasse l’antica e identitaria civiltà della città, l’arcivescovo Guglielmo regalò ai suoi concittadini la cattedrale come simbolo di qualcosa di glorioso, sublime e salvifico.

   

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Quando si accede dalla porta centrale con lo sguardo teso verso l’altare maggiore, la cattedrale appare immensa: tre navate con absidi semicircolari e due cappelle laterali, la cui maestosità è rafforzata dal soffitto dorato su fondo nero e bianco. Quando invece lo sguardo parte dal lato opposto, dal fondo dall’altare, la cattedrale appare a misura d’Uomo, rassicurante e compatta nelle sue dimensioni. L’effetto è voluto, lo sguardo dell’uomo viaggia dal microcosmo al macrocosmo, mentre lo sguardo sacro dell’uomo divinizzato dalla fede, vede le cose nelle loro reali proporzioni.

 

Entrando, si volteggia sotto i nostri piedi e ci si accorge di essere entrati in un racconto. Su una lunghezza di 54 metri e una larghezza di 28 metri, un mosaico a terra che si estende per tutta la lunghezza della navata principale fino all’abside e nelle due navate laterali in corrispondenza del transetto. Disegnato come fosse un enorme libro aperto, è impossibile non calpestarlo, conferendo agli avventori carattere immersivo: è qualcosa che non si ammira solamente ma nella quale siamo coinvolti, come un film girato in soggettiva. Opera del monaco Pantaleone nel 1166, questo straordinario mosaico medievale riassume il nostro io, attraverso storia e credenze, glorie e tragedie, vizi e virtù. Illustra sia le leggende che la vita quotidiana condotta dai santi, ispirandosi a testi evangelici, tradizioni orali e superstizioni. Ci sono volute quasi 600.000 tessere policrome di calcare per produrre questo capolavoro unico. Il tutto retto, nella cripta, da quarantadue colonne di stili che riassumono le civiltà passate: l’egizio, il persiano, i vari stili greci, l’asiatico, il bizantino fino all’islamico. L’iconografia del mosaico è vasta, complessa e densa, si sviluppa attorno alla figura di un enorme albero, la rappresentazione cristiana dell’albero della vita. Sorretto da una coppia di elefanti (Adamo ed Eva), dal tronco partono due rami, il bene e il male, non rappresentati in modo assoluto e polarizzante ma relativo, si ritrovano, si confondono e sovrappongono traendo entrambi origine nello stesso albero (che modernità). Il mosaico si evolve attraverso scene della Genesi, cicli cavallereschi, i bestiari medievali, la Torre di Babele, Noè che costruisce l’arca e il successivo Diluvio universale, il ciclo dei mesi dell’anno, Atlante che sorregge il mondo, Sfinge e Arpia, gli eroi iniziatici Re Artù a dorso di un caprone e Alessandro Magno che sale in cielo tra due grifoni. Una favola da comporre e scomporre e raccontare ai figli.

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