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Perché la maggior parte dei film (e dei romanzi) fa schifo?

Mariarosa Mancuso

Lì dove nascono le sceneggiature scarse. Troppi scrittori e registi “mediocri e senza ambizione”. Parola di Ted Hope

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Perché la maggior parte dei film fa schifo? Si stenta a crederlo, ma la domanda era così precisamente formulata nell’anticipazione di “Hope for Film” (il libro uscirà il 18 agosto, Counterpoint Press). Doppia stranezza: un libro intitolato “Hope for Film” lo avevamo già letto qualche anno fa. Nel frattempo però Mr. Ted Hope ha cambiato lavoro. Da produttore di film indipendenti (uno per tutti: ha prodotto “Happiness” di Todd Solondz e lo ha anche distribuito – il distributore che aveva comprato i diritti si era tirato indietro, spaventato per qualche scena un po’ forte) ha scavalcato la barricata.

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Perché la maggior parte dei film fa schifo? Si stenta a crederlo, ma la domanda era così precisamente formulata nell’anticipazione di “Hope for Film” (il libro uscirà il 18 agosto, Counterpoint Press). Doppia stranezza: un libro intitolato “Hope for Film” lo avevamo già letto qualche anno fa. Nel frattempo però Mr. Ted Hope ha cambiato lavoro. Da produttore di film indipendenti (uno per tutti: ha prodotto “Happiness” di Todd Solondz e lo ha anche distribuito – il distributore che aveva comprato i diritti si era tirato indietro, spaventato per qualche scena un po’ forte) ha scavalcato la barricata.

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Cinque anni fa Ted Hope è passato a Amazon, capo della sezione “film originali”. Per dire un titolo, “Manchester by the Sea” di Kenneth Lonergan. Per ricordare un grande contratto finito male, gli oltre 60 milioni di dollari offerti a Woody Allen per una serie di film (e ritirati quando il #MeToo dettava legge). Da poco ha mollato la megaditta, tornando a fare il produttore indipendente. Con tutti i nostri auguri: sul Guardian qualche giorno fa un convincente “Sundance, sunset” annunciava il tramonto del cinema indipendente.

   

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La domanda sulla bruttezza di certi film che circolano per il mondo ce la siamo fatta tante volte. Vale anche per i romanzi: davvero fatichiamo a credere come mai certe pagine arrivino indisturbate sui banconi delle librerie, scavalcando l’autocritica dello scrittore (tendente a zero, lo sappiamo, ma già una modica quantità basterebbe) e tutti gli altri scalini editoriali: la scelta del manoscritto, la decisione di pubblicarlo, e soprattutto l’editing che tante scorie dovrebbe portare via. Un film costa parecchio di più, certe cose dovrebbero morire in culla.

 

È chiaro che l’aspirante regista e l’aspirante romanziere alla voce “morire in culla” sussultano. Già sono convinti che esista un complotto per distanziarli dal successo che meritano. Se poi viene invocata la mortalità infantile di certe idee e di certi copioni, potrebbero avere reazioni scomposte. Ma credete a Ted Hope, che ha più esperienza e manovra più soldi: da una vita si chiede perché le sceneggiature sono così scarse, e se un copione mediocre può con abili mosse – quali, nel caso? – diventare qualcosa di imperdibile.

  

Sembra perfino più pessimista di noi, quando riferisce che un regista di serie A alla domanda “C’è un copione che vuoi assolutamente girare?” risponde “Purtroppo ho i cassetti pieni solo di inservibile robaccia”. Sul versante “ottimismo” racconta però di aver visto un altro regista di serie A (i nomi mancano perché continua ad avere, da produttore indipendente, un “first look deal” con Amazon – se alla megaditta qualcosa piace, ha diritto di prelazione) migliorare in pochissimo tempo una sceneggiatura complicata. “Sbrogliamo la complessità” sostiene Ted Hope, e lo disse anche a un ingegnere della Nasa che aveva descritto così il mestiere di chi manda i razzi sulla Luna.

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“Sono mediocri e mancano di ambizione”: questa la diagnosi di Ted Hope sui portatori di nuovi copioni. “Si fermano alla prima idea, e quando vengono a discutere si capisce che sono del tutto impreparati alle obiezioni. Come se non avessero neanche un amico a cui chiedere: ‘Secondo te questa cosa sta in piedi? È interessante? Alzeresti le chiappe dal divano per vederla al cinema?’”. Siamo in disaccordo solo sull’ambizione, parlando di romanzi italiani. Non è che manchi del tutto. Ce l’hanno a misura di quartiere, o al massimo di cordata amicale: tu troverai strepitoso il mio romanzo, io troverò sublime il tuo.

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