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I nuovi nemici della società aperta

Rosamaria Bitetti e Federico Morganti

Settantacinque anni fa la pubblicazione del celebre saggio di Karl Popper. I pericoli che derivano dall’ignoranza, dal dogmatismo e dal populismo. L’antidoto a chi chiede una maggiore chiusura è uno solo: una maggiore conoscenza. Intervista a Dario Antiseri

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Settantacinque anni dalla pubblicazione de La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper. Un “lavoro di guerra”, spiega il professor Dario Antiseri, il quale non si è mai tirato indietro dalla lotta per introdurre in Italia le idee di Popper, allora come oggi troppo poco popolari nel nostro panorama culturale: “Popper decise di scrivere questo libro nel marzo 1938, quando seppe che i nazisti avevano invaso l’Austria: diversi parenti di Popper sarebbero morti nei campi di concentramento”. Oggi la società aperta ha nuovi nemici, senza che i vecchi siano stati peraltro debellati del tutto. Ma anzitutto, professor Antiseri, come definiamo la società aperta? “E’ una società che accoglie una pluralità di valori, di visioni del mondo filosofiche, religiose e politiche, che possono essere sottoposte a critiche incessanti e severe. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali, ma non a tutti. E’ chiusa ai violenti e agli intolleranti. Non è insomma una società spalancata”.

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Settantacinque anni dalla pubblicazione de La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper. Un “lavoro di guerra”, spiega il professor Dario Antiseri, il quale non si è mai tirato indietro dalla lotta per introdurre in Italia le idee di Popper, allora come oggi troppo poco popolari nel nostro panorama culturale: “Popper decise di scrivere questo libro nel marzo 1938, quando seppe che i nazisti avevano invaso l’Austria: diversi parenti di Popper sarebbero morti nei campi di concentramento”. Oggi la società aperta ha nuovi nemici, senza che i vecchi siano stati peraltro debellati del tutto. Ma anzitutto, professor Antiseri, come definiamo la società aperta? “E’ una società che accoglie una pluralità di valori, di visioni del mondo filosofiche, religiose e politiche, che possono essere sottoposte a critiche incessanti e severe. La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee e ideali, ma non a tutti. E’ chiusa ai violenti e agli intolleranti. Non è insomma una società spalancata”.

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Quali erano per Popper i presupposti della società aperta? “C’è un passaggio di Pericle, tramandato da Tucidide, che recita: ‘Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell’azione politica, ma come indispensabile premessa ad agire saggiamente’. Ma potrà seguire un simile principio solo un individuo consapevole della fallibilità della conoscenza umana Solo se consapevoli di essere fallibili, penseremo che le soluzioni ai problemi nascano dal confronto tra idee in contrapposizione. Popper pubblica La logica della scoperta scientifica nel 1935, dieci anni prima. E’ interessante osservare il filo rosso che collega l’epistemologia fallibilista – la convinzione che la conoscenza sia congetturale e ipotetica – alla società aperta. La politica può sperare di risolvere i problemi solo se tutti sono liberi di mostrare gli errori delle proposte altrui. E questo presuppone che siamo esseri fallibili, che è la cosa più importante che Popper ci ha insegnato”.

   

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Perché all’epoca era importante insistere sulla nostra fallibilità? “A causa di Platone il pensiero politico occidentale è andato in una direzione diversa. Platone ha commesso l’errore di argomentare a favore della società chiusa, dopo aver posto la domanda ‘chi deve comandare?’. Solo i filosofi possiedono la verità su ciò che è bene e male. Ma chi ritiene di possedere la verità assoluta avrà lo zelo di imporla anche con lacrime e sangue. Il pensiero politico occidentale avrebbe continuato a porre la stessa domanda, fino al disastro del secolo scorso, in cui qualcuno sostenne che a comandare dovesse essere una certa razza, nazione o classe. Popper ha avuto il merito di cambiare la domanda. Non chi comanda, ma come controlliamo chi comanda, in modo da poterlo rimuovere senza spargimento di sangue. E la possibilità di far ciò differenzia una democrazia da una tirannide”.

   

Ci si può allora chiedere quale sia il ruolo della conoscenza degli esperti in una democrazia. Con l’esplosione del Covid si è osservato ulteriormente che le conoscenze del cittadino medio sono inadatte a valutare le decisioni dei governanti, ed è un fenomeno proprio di tutte le democrazie complesse. “Ci viene in aiuto Hayek: se per Popper siamo liberi perché fallibili, per Hayek lo siamo anche perché ignoranti. Le conoscenze sono disperse tra milioni di individui e soltanto chi possiede le conoscenze rilevanti può decidere di volta in volta quali sono i problemi da risolvere, e come farlo. Nessun governo centralizzato può sapere meglio del contadino quando mungere le vacche o meglio del medico come curare un paziente, ma questo non vuol dire che non esista la conoscenza scientifica. E’ evidente che durante una pandemia le opinioni di virologi ed epidemiologi vadano ascoltate. Se poi i politici decidono di andare oltre quelle indicazioni, non possiamo che aspettare e vedere chi aveva ragione e chi torto”.

 

Quindi l’ignoranza, pur essendo un presupposto della società aperta, può essere un pericolo per la democrazia? “Certamente la società descritta da Popper ha bisogno che i cittadini siano in grado di esercitare una mentalità critica, e questo è compito della scuola, dell’università, dei mezzi di comunicazione. Una persona incapace di argomentare, o di vedere le conseguenze di certe idee, sarà più facilmente vittima di idee sbagliate, totalitarie o violente. Purtroppo il mondo dell’informazione si è involgarito. Quando Popper scrisse Cattiva maestra televisione non era un vecchio che era diventato illiberale. Aveva semplicemente capito che, con i suoi contenuti violenti e scadenti, la televisione non stava svolgendo la funzione di educare a una mentalità critica. L’ignoranza è senz’altro uno dei pericoli della democrazia, così come il dogmatismo, l’ingiustizia, la miseria, e ci metto anche il populismo: l’unione mistica tra un capo carismatico e un popolo obbediente”.

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Viene allora da chiedersi cosa fare nel momento in cui la mentalità critica scarseggia e le persone smarriscono il senso dell’importanza di una società aperta e invocano una maggiore chiusura. “L’antidoto è uno solo: una maggiore conoscenza. Resto meravigliato dall’ignoranza della nostra classe politica. E mi chiedo se i ragazzi sappiano cos’è l’Europa, com’è nata, cos’è stato il Novecento. Sanno davvero cos’è successo nei campi di concentramento e nei gulag? L’anno scorso dai dati Ocse-Pisa è emerso che i nostri ragazzi non sanno comprendere un testo. E’ una cosa gravissima, ed è un pericolo per la democrazia. Vuol dire che un ragazzo può essere abbindolato da un ciarlatano qualsiasi, fuori e dentro la politica. Occorre educare a una mentalità critica. Esistono delle tecniche didattiche, antiche e mai vecchie, che sono in tal senso fondamentali: il tema argomentativo, in cui occorre difendere una tesi contro un’altra, o il riassunto, che è un lavoro ermeneutico di comprensione di un testo. Senza dimenticare le versioni di greco e latino, che sono uno degli esercizi più scientifici che si fanno nei nostri licei e che costringono a formulare ipotesi e metterle alla prova. Bisogna abituare i ragazzi al metodo scientifico, e a tale scopo è importante anche lo studio della storia della scienza. Studiandone la storia, si capisce come la scienza proceda per congetture e confutazioni, come diceva Popper. Appena dopo l’anno 1000, il filosofo ebreo Mosè Maimonide scrisse La guida dei perplessi. Per Maimonide il ‘perplesso’ non è uno che sa poco, bensì uno che ha troppe nozioni. Se oggi un ragazzo è perplesso, viceversa, è perché vive in un mare di notizie e informazioni. E’ fondamentale che ai ragazzi abbiano gli strumenti per discernere le informazioni fondate da quelle infondate, e questi strumenti può darli solo il metodo scientifico”.

 

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In queste settimane si è parlato molto di “cancel culture” e ha fatto notizia l’appello dei 150 intellettuali contro il rischio che la difesa delle minoranze si trasformi in intolleranza e limitazioni alla libertà di pensiero. Come coniughiamo l’esigenza di proteggere le minoranze dalle offese con quella di apertura al maggior numero di opinioni possibili? “Le idee vanno sempre ascoltate e sviscerate – risponde Antiseri – ma nella discussione non si deve mai offendere nessuno. La persona è sacra e inviolabile. In fondo la società aperta non è che un insieme di regole a difesa della dignità e libertà della persona (e quindi delle minoranze e delle opposizioni). A fondamento della società aperta stanno due princìpi. Il primo è l’idea della razionalità come discussione critica, che deriva dai greci. L’altro è l’idea della persona come sacra e inviolabile, che ereditiamo dal cristianesimo, come Popper sapeva bene. Per sperare di risolvere i problemi sociali non c’è altra strada che continuare a discutere, senza mai dimenticare questi due princìpi, e anzi facendo attenzione quando essi vengono meno. Come scrisse Popper, il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”.

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