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I 100 anni del vecchio Buk

Bukowski raccontato da chi lo ha rincorso una vita intera

Valeria Sforzini

Lettrice appassionata di Buk, ha trascorso dodici anni negli Stati Uniti sulle sue orme. Oggi Simona Viciani è la traduttrice italiana. "Mi è sempre piaciuto pensare che finisse nelle mani di una donna", ci dice 

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Lui mischiava tre registri: poteva usare una parola rozzissima in un verso, così volgare da farti pensare: ‘Non può averlo scritto davvero’, e trasformare le parole successive in pura poesia. Questo pugno nello stomaco, che sa mettere insieme il registro basso, la lirica e la lingua comune, io lo chiamo ‘effetto Bukowski’. La magia sta proprio lì”. Simona Viciani, 55 anni, pavese, ha inseguito Charles Bukowski per tutta la vita, pur non essendo mai riuscita a incontrarlo: da quando a quindici anni ha letto per la prima volta un suo romanzo, nei dodici anni trascorsi negli Stati Uniti sulle orme del “vecchio Buk”, fino a diventarne la traduttrice ufficiale italiana. L’emozione più forte l’ha provata entrando nel vialetto di casa sua, a San Pedro, Los Angeles. La stanza era esattamente come l’aveva lasciata lui: la scrivania rivolta verso la finestra affacciata sul porto e la radio ancora sintonizzata sul canale di musica classica che ascoltava mentre tempestava i tasti della macchina da scrivere. Quando sua moglie, Linda Lee, ormai vedova, le mise in mano dei fogli che aveva trovato sparsi sul tavolo chiedendole che romanzo fosse, lei rispose subito, senza pensarci: “Donne”. Da quel momento tra le due è nata un’amicizia e insieme hanno dato vita alla fondazione a lui dedicata. “Sulla scrittura” è l’ultimo saggio edito da Guanda, pubblicato nel centenario della nascita dell’autore, che ricorrerà il prossimo 16 agosto: un testo che raccoglie il suo epistolario, le lettere inviate a editori, redattori e amici come Henry Miller e John Fante. E che contiene, oltre a una serie di invettive contro i rifiuti ricevuti, una visione in pillole della sua filosofia di vita e del suo amore per la scrittura.

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Lui mischiava tre registri: poteva usare una parola rozzissima in un verso, così volgare da farti pensare: ‘Non può averlo scritto davvero’, e trasformare le parole successive in pura poesia. Questo pugno nello stomaco, che sa mettere insieme il registro basso, la lirica e la lingua comune, io lo chiamo ‘effetto Bukowski’. La magia sta proprio lì”. Simona Viciani, 55 anni, pavese, ha inseguito Charles Bukowski per tutta la vita, pur non essendo mai riuscita a incontrarlo: da quando a quindici anni ha letto per la prima volta un suo romanzo, nei dodici anni trascorsi negli Stati Uniti sulle orme del “vecchio Buk”, fino a diventarne la traduttrice ufficiale italiana. L’emozione più forte l’ha provata entrando nel vialetto di casa sua, a San Pedro, Los Angeles. La stanza era esattamente come l’aveva lasciata lui: la scrivania rivolta verso la finestra affacciata sul porto e la radio ancora sintonizzata sul canale di musica classica che ascoltava mentre tempestava i tasti della macchina da scrivere. Quando sua moglie, Linda Lee, ormai vedova, le mise in mano dei fogli che aveva trovato sparsi sul tavolo chiedendole che romanzo fosse, lei rispose subito, senza pensarci: “Donne”. Da quel momento tra le due è nata un’amicizia e insieme hanno dato vita alla fondazione a lui dedicata. “Sulla scrittura” è l’ultimo saggio edito da Guanda, pubblicato nel centenario della nascita dell’autore, che ricorrerà il prossimo 16 agosto: un testo che raccoglie il suo epistolario, le lettere inviate a editori, redattori e amici come Henry Miller e John Fante. E che contiene, oltre a una serie di invettive contro i rifiuti ricevuti, una visione in pillole della sua filosofia di vita e del suo amore per la scrittura.

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“Stavo frugando tra gli scaffali e ho trovato questo libro, ‘Donne’ – racconta Viciani – Sempre lui. Il caso. Probabilmente era di mio papà. Da come era posizionato, un po’ nascosto, ho capito che era una lettura ‘proibita’. Da lì non l’ho mai lasciato”. Negli anni del liceo inizia a leggere tutte le sue opere. “Le mie amiche mi chiamavano ‘Bukowski’, cosa che mi rendeva assolutamente fiera. Il suo stile era così diverso dalle letture che facevamo a scuola. Mi ha catturata il suo modo di scrivere. Così essenziale, senza fronzoli. Ma che proprio per questo arriva dritto al cuore. Scriveva quello che sentiva, senza giri di parole, parlando della quotidianità con una dose di poesia”.

    

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“Hank”, Heinrich Karl Bukowski, diventato Charles dopo che i suoi genitori si trasferirono dalla Germania agli Stati Uniti alla ricerca di un futuro migliore, o ancora Henry Chinaski, come il suo alter ego letterario, è diventato la sua ossessione. “Dopo il liceo mi sono trasferita a Los Angeles, dove ho iniziato a lavorare come archivista per la famiglia del tenore italo-americano Mario Lanza – spiega Viciani – La villa dei Lanza era a pochi chilometri da San Pedro, dove viveva Bukowski. Nel mio contratto avevo specificato che avrei lavorato al mattino, in modo che nel pomeriggio mi potessi dedicare alla ricerca di Buk. Avevo fatto una mappa dettagliatissima di Los Angeles seguendo i suoi libri, e nei pomeriggi gironzolavo per San Pedro nella speranza di incontrarlo. Andavo all’ippodromo, nei bar. Ma non sono mai andata a casa sua, perché sapevo quanto odiasse il lettore che si presenta alla porta. Da lui ci si sarebbe potuti aspettare qualsiasi reazione”. Il resto è venuto da sé, quasi per caso. “Dopo la sua morte ero in un bar – continua Simona Viciani –, uno di quelli che frequentava lui, con brutti ceffi e prostitute. Il barista mi ha indicato un uomo che era appena entrato nel locale. Mi sono avvicinata, abbiamo iniziato a parlare e mi ha confermato di essere un vecchio amico di Charles e di sua moglie. Come nei film, gli ho lasciato il mio numero di telefono scritto su un tovagliolo di carta. Qualche giorno dopo, ho trovato in segreteria una messaggio di Linda Lee”.

     

Il suo ruolo di traduttrice italiana è nato da un episodio fortuito che le ha permesso di mettere in pratica gli anni di lettura meticolosa delle sue opere. Mentre si trovava a Los Angeles, è stata contattata da Fernanda Pivano, negli States per intervistare Bukowski. Il risultato del colloquio sarebbe poi stato pubblicato sotto il titolo di “Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle”. “Era andata persa la versione originale e mi ha chiesto di tradurla dall’italiano all’inglese – spiega Viciani – il giudice ultimo era Linda Lee, che quando l’ha letto ha detto: ‘Mi sembra di sentire parlare Hank’”. Poi è arrivata la notizia che in Italia stavano cercando un traduttore per Bukowski. Cercavano un uomo, ma Simona Viciani ha deciso di tentare comunque la sorte, sostenendo la prova in cieco a New York. “Indovini un po’, hanno scelto la traduzione più ‘maschia’ – racconta – ma mi è sempre piaciuto pensare che Buk finisse nelle mani di una donna. Anche se i preconcetti ci sono ancora”.

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