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Quando Henry Miller fu processato dalla cancel culture, sessant’anni in anticipo

Antonio Gurrado

La contea di Marin si sentiva offesa. Non dal Tropico del Cancro ma da lui

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Che si tratti di abbattere statue, ostracizzare docenti o proibire ai film di settant’anni fa di rispecchiare i valori di settant’anni fa, le prefiche della cancel culture mi ricordano Roger Patrick Garety. Ironia della sorte, il suo nome è ormai caduto nell’oblio ma, nel 1962, visse una breve stagione di celebrità come accanitissimo procuratore distrettuale nel processo intentato contro Henry Miller dagli abitanti della contea di Marin, nel nord della California. Lo rese celebre, all’epoca, un lungo reportage di Donovan Bess, giornalista del San Francisco Chronicle, che in Italia fu immediatamente tradotto da Feltrinelli in una corposa sfilza di prefazioni ai due “Tropici” di Miller.

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Che si tratti di abbattere statue, ostracizzare docenti o proibire ai film di settant’anni fa di rispecchiare i valori di settant’anni fa, le prefiche della cancel culture mi ricordano Roger Patrick Garety. Ironia della sorte, il suo nome è ormai caduto nell’oblio ma, nel 1962, visse una breve stagione di celebrità come accanitissimo procuratore distrettuale nel processo intentato contro Henry Miller dagli abitanti della contea di Marin, nel nord della California. Lo rese celebre, all’epoca, un lungo reportage di Donovan Bess, giornalista del San Francisco Chronicle, che in Italia fu immediatamente tradotto da Feltrinelli in una corposa sfilza di prefazioni ai due “Tropici” di Miller.

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Gli abitanti della contea di Marin volevano cancellare “Tropico del Cancro” trent’anni dopo che era stato pubblicato. E’ vero che, fino all’anno precedente, ne era proibita la vendita negli Stati Uniti; ma la lungimiranza degli abitanti della contea di Marin, ciò che fa risaltare il loro processo rispetto alla cinquantina abbondante cui il romanzo fu sottoposto negli stessi mesi, fu che già all’epoca tentarono di attuare la strategia che oggi la cancel culture ha reso abituale in America. Non volevano limitarsi a censurare un vecchio romanzo, per oscenità; volevano preservare l’originaria purezza della propria contea, che temevano venisse contaminata dalla sola esistenza del volume. Si reputavano fra i più specchiati degli Stati Uniti, quindi in diritto di intervenire correttivamente sulla realtà per difendere i valori di cui si erano proclamati depositari.

 

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Non avendo Twitter, trovarono il proprio eroe nel procuratore distrettuale. “Garety e la sua equipe”, scrive Bess, “incolparono Henry Miller di eresia, di esibizionismo, di tendenze buddistiche, di lasciare a mezzo i periodi, di comportarsi in modo antiamericano, di aver scritto un romanzo senza trama, di fuoriuscitismo, di aver inventato dei personaggi che fanno all’amore all’ora di colazione, di essere dissonante dalla tonalità morale della Contea di Marin, di rifiutarsi di sentirsi colpevole di godimento sessuale e, tanto per finire, di essere stato a lungo disoccupato e senza il becco di un quattrino”. La colpa di Miller, dunque, era avere scritto negli anni Trenta un romanzo non in linea coi principii a cui gli abitanti della contea di Marin si attenevano nei Sessanta. E il forte di Garety era interpretare ogni passo scabroso del Tropico come un insulto personale agli abitanti di una contea di cui Miller, forse, ignorava l’esistenza. Tutto il romanzo venne riletto come tentativo di destabilizzare persone quali il portavoce della giuria popolare, un giovane viceconcessionario automobilistico che all’epoca della pubblicazione non era ancora nato. Alla fine non fu tanto in questione l’oscenità ma il caso che potesse risultare offensivo agli occhi dei viceconcessionari, per quanto Miller non ne citasse mai nemmeno uno.

  

Garety era un fuoriclasse nel caposaldo della cancel culture, ossia citare fuori contesto una pagina una riga una parola e poi identificare non l’opera ma l’identità stessa del suo autore in quel brandello repellente. Colpisce come facesse già allora leva sul paradosso su cui oggi la cancel culture si regge. Da un lato Garety presupponeva la superiorità morale dei membri della giuria, in quanto abitanti della contea di Marin; dall’altro però rivendicava che i membri della giuria rappresentassero alla perfezione l’uomo medio. Il fumantino procuratore distrettuale antimilleriano stava anticipando di mezzo secolo abbondante il criterio che oggi anima i linciaggi su Twitter: un’autoproclamata contea virtuosa di utenti che si erge in difesa dei valori di un uomo medio completamente inventato, una collettività di anonimi giusti che cerca di modificare la realtà di conseguenza, cancellando ciò che potrebbe offendere. La differenza è che, all’epoca, Garety si definiva conservatore e veniva stigmatizzato dalla stampa progressista; oggi è il contrario.

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