PUBBLICITÁ

Riguardare Hollywood Party con gli occhi della cancel culture

Mariarosa Mancuso

Ai cancellatori oggi di moda farebbe bene guardare l’indiano di Peter Sellers. Dove finisce il rispetto e dove comincia la recitazione?

PUBBLICITÁ

Trovate un posto sicuro, amici fidati, e abbandonatevi al divertimento di “Hollywood Party”. Bisogna rendere omaggio a un genio della comicità che si chiamava Peter Sellers, morto a Londra 40 anni fa. Alla cerimonia funebre volle come accompagnamento “In the Mood” di Glenn Miller. Non perché gli piacesse, perché la detestava. A pensarci, un colpo di genio: frena la commozione dei dolenti che sanno, e sottolinea la scontentezza del defunto, che preferirebbe trovarsi altrove.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Trovate un posto sicuro, amici fidati, e abbandonatevi al divertimento di “Hollywood Party”. Bisogna rendere omaggio a un genio della comicità che si chiamava Peter Sellers, morto a Londra 40 anni fa. Alla cerimonia funebre volle come accompagnamento “In the Mood” di Glenn Miller. Non perché gli piacesse, perché la detestava. A pensarci, un colpo di genio: frena la commozione dei dolenti che sanno, e sottolinea la scontentezza del defunto, che preferirebbe trovarsi altrove.

PUBBLICITÁ

   

Nascondersi bisogna, in “Hollywood Party” di Blake Edwards ha la parte di Hrundi V. Bakshi, comparsa indiana che fa di tutto per sabotare il film che si sta girando. Da trombettiere, invece di accasciarsi come da copione, ruba la scena inventandosi una specie di morte del cigno: lo hanno colpito, lui continua contorcersi e a strombazzare per un bel po’ (si dice lo facesse anche Marlon Brando ventenne, a teatro e in una scena di avvelenamento, facendo infuriare la prima attrice Tallulah Bankhead). In pausa, per allacciarsi la scarpa mette il piede sul detonatore che avrebbe di lì a poco dovuto far saltare il fortino. Prima, abbiamo sentito il regista avvertire la troupe: si può girare una sola volta, massima attenzione.

   

PUBBLICITÁ

Hrundi V. Bakshi ha la faccia pitturata di marrone, con il cerone pesante che usava negli anni 60 e non turbava nessuno. Oggi è appropriazione culturale, proteste, scandalo, attori indiani che rivendicano posti di lavoro. E’ ovvio che ai cancellatori – non riusciamo a non immaginarli somiglianti ai dissennatori che nelle storie di Harry Potter riducono le vittime allo stato vegetativo – della comicità non importa niente. Come non importa nulla di molte altre conquiste della civiltà. A partire dal linguaggio: fosse per loro, bisognerebbe tornare ai sapientoni che nei “Viaggi di Gulliver” di Jonathan Swift propongono una drastica riforma. Le parole indicano cose, quindi si possono eliminare e attenersi alle cose, portandosele dietro quando si va dagli amici con cui conversare. Il problema sono le donne, abituate a parlare del nulla: vanno ridotte al silenzio per il bene di tutti.

   

Al cinema vuol dire: gli attori indiani fanno gli indiani, i trans fanno i trans (o dobbiamo dire le trans? son tutti solo uomini che vogliono farsi femmine?). I vecchi fanno i vecchi. I poveri fanno i poveri, i malati fanno i malati. Dove finisce il rispetto, e dove comincia la recitazione? Che vuol dire “fingere”, per chi nel frattempo lo avesse dimenticato. Il lavoro che consentiva a Peter Sellers, nel “Dottor Stanamore” diretto da Stanley Kubrick, di recitare tre personaggi diversi: il colonnello britannico Mandrake, il presidente americano Merkin Muffley, e lo scienziato (pazzo nonché ex nazista) Stranamore.

   

Peter Sellers diceva che tra un film e l’altro non aveva personalità, l’acquistava sui set. Guardando la faccia pitturata dell’indiano che manda in vacca (ooops!) la festa a cui per sbaglio è stato invitato faremo fuori anche gli attori che “si guardano dentro” invece di studiare le battute e i tempi.

PUBBLICITÁ

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ