PUBBLICITÁ

Storia e gloria della letteratura rosa

Nadia Terranova

Da Cenerentola a Carolina Invernizio, epopea di quei libri scritti da donne e destinati quasi esclusivamente alle donne. Ora li scrivono anche gli uomini. E si vendono, eccome

PUBBLICITÁ

Incominciamo dal nome: chiamare rosa i romanzi d’amore è una prerogativa esclusivamente italiana”, si legge in un agile libretto, molto interessante, pubblicato dalla casa editrice Graphe (Breve storia della letteratura rosa, di Patrizia Violi). L’autrice, giornalista, comincia il suo compendio ricordando che la mania di affibbiare un colore ai generi è tutta nostra, a partire dal giallo, che viene dalle copertine della storica collana Mondadori – curioso caso di estensione del nome dalla parte al tutto. Qualcosa di simile si ripete nella storia della letteratura per signorine, ma a differenza che per i romanzi di investigazione, spiega Violi, non è mai esistita una copertina rosa; la sua ipotesi è che la scelta sia ricaduta sul nome del fiore “sinonimo di amore e passione. La rosa è simbolo di romanticismo, ma è anche la tonalità femminile per eccellenza, assegnata alle bambine e (fino a qualche decennio fa) rigorosamente vietata ai maschi”.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Incominciamo dal nome: chiamare rosa i romanzi d’amore è una prerogativa esclusivamente italiana”, si legge in un agile libretto, molto interessante, pubblicato dalla casa editrice Graphe (Breve storia della letteratura rosa, di Patrizia Violi). L’autrice, giornalista, comincia il suo compendio ricordando che la mania di affibbiare un colore ai generi è tutta nostra, a partire dal giallo, che viene dalle copertine della storica collana Mondadori – curioso caso di estensione del nome dalla parte al tutto. Qualcosa di simile si ripete nella storia della letteratura per signorine, ma a differenza che per i romanzi di investigazione, spiega Violi, non è mai esistita una copertina rosa; la sua ipotesi è che la scelta sia ricaduta sul nome del fiore “sinonimo di amore e passione. La rosa è simbolo di romanticismo, ma è anche la tonalità femminile per eccellenza, assegnata alle bambine e (fino a qualche decennio fa) rigorosamente vietata ai maschi”.

PUBBLICITÁ

  

La mania di affibbiare un colore ai generi è tutta nostra, a partire dal giallo, che viene dalle copertine della storica collana Mondadori

Cosa indica, dunque, la letteratura rosa? La sua prima e grossolana definizione potrebbe essere legata al sesso della persona che scrive, entrando in quel complesso mondo di recinti e definizioni che va sotto l’orrenda etichetta di “letteratura al femminile” (forse l’espressione più sbagliata di tutti i tempi), o la appena meno orrenda “letteratura femminile” (ma proprio appena appena – come bisogna chiamarla, dunque? Be’, “letteratura scritta dalle donne” va già meglio). In realtà, la letteratura rosa non ha niente a che vedere con l’essere stata scritta da una scrittrice o da uno scrittore, e il prototipo di questo genere letterario, un grande successo di pubblico intitolato Pamela, o la virtù premiata, è stato scritto da un uomo, Samuel Richardson, nel 1740. Richardson era un tipografo inglese, era bravo a scrivere lettere e gli era stato commissionato un manuale sulle virtù domestiche in forma epistolare; durante la stesura, si accorse di avere fra le mani un personaggio minore che meritava molto più spazio, ovvero una servetta molestata dal datore di lavoro che scriveva al padre, preoccupato per le minacce alla virtù della figlia. Le lettere della ragazza diventarono sempre più intense fino a distaccarsi dal progetto iniziale, del quale non si fece più niente, e a costituire un’opera a sé.

PUBBLICITÁ

 

La più amata fra le protagoniste di fiabe è stata narrata da uomini, da Giambattista Basile ai fratelli Grimm fino a Charles Perrault

La bibbia ci insegna che dalle costole nascono le cose migliori, e in effetti i lettori fecero a meno dell’ennesimo manuale di economia domestica e assistettero alla riuscita su larga scala di un preciso modello narrativo: ragazza bella e povera, astuta e sensibile, non cede alle insidie e dimostra di cavarsela. Insomma, “quella gran culo di Cenerentola”, secondo l’immortale definizione di una delle più famose variazioni del modello, Pretty Woman. Del resto, anche la più amata fra le protagoniste di fiabe è stata narrata da uomini, in tutte le lingue possibili: Gianbattista Basile in italiano (La gatta Cenerentola, nel 1634), Charles Perrault in francese, i fratelli Grimm in tedesco. La nascita della letteratura rosa coincide con il travaso dell’archetipo della crisalide che diventa farfalla da un genere popolare all’altro, dalla fiaba al romanzo (Francesca Lazzarato e Valeria Moretti hanno scritto negli anni Ottanta il fondamentale La fiaba rosa). Anche oggi, il mercato della letteratura d’amore è pieno di personaggi femminili raccontati dagli uomini: Federico Moccia ha appena pubblicato Semplicemente amami (casa editrice Nord), un romanzo in cui una donna attraversa una crisi e approda a una rinascita (speculare crisi e speculare rinascita toccano all’uomo che la ama). Insomma, “quella gran culo di Cenerentola” è perlopiù scritta dagli uomini, ma non per gli uomini, che invece devono dimostrare di amare le storie di guerra, gli eroismi, i grandi affreschi. Sintetizza Patrizia Violi: “Diventare un lettore di tali storie sentimentali era fortemente sconsigliato. Anche perché fior di intellettuali si accanivano nella critica verso i romanzi d’amore, diffidando quindi altri maschi dal leggere tale letteratura-spazzatura, creata ad hoc per sollazzare signore e signorine”.

 

Parallelamente, accadeva qualcos’altro. Dalla loro posizione di storica marginalizzazione, le donne che scrivevano, che avevano accesso alla cultura, colsero nel successo di Pamela, o la virtù premiata una possibilità di prendere parola. Se il racconto della vita intima di una donna aveva avuto così tanta fortuna, chi meglio di loro avrebbe potuto raccontarne altri? Una generazione di scrittrici, raggruppatasi intorno a Samuel Richardson, cominciò a collaborare e a creare nuove storie, sempre più popolari, avviando una grande narrazione sociale e collettiva sulle mille sfaccettature delle crisalidi trasformate in farfalle; secondo Patrizia Violi, nasce così “il prototipo di quella solidarietà fra autori di romance che oggi è fortissima nel mercato anglosassone.” Nella seconda metà del Settecento uscirono in Inghilterra circa duecento romanzi d’amore, quasi tutti scritti da donne; le lotte per i diritti erano agli albori, ma la comunità maschile riteneva di aver fatto il suo dovere: “Oggi il sesso gentile ha ottenuto il suo posto al sole e ha richiesto il riconoscimento di quella naturale uguaglianza di intelligenza che è sempre stata una realtà di tutta evidenza”, si leggeva sul Gentleman’s Magazine nel 1791. Ovvero: donne, non siete contente? In realtà, a parte l’arbitraria e fantasiosa traslazione del riconoscimento dalla cultura alle istituzioni, c’era poco da gioire anche fra le lettrici: il successo della narrativa scritta da donne e letta da donne era limitato al ceto medio-alto, che, in piena rivoluzione industriale, si liberava dall’obbligo di filare e tessere a casa e aveva tempo libero da riempire. Per le operaie, pagate un quarto dei colleghi, le cose andavano in modo un po’ diverso.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Liala, la regina delle vendite, che scriveva in quel “bell’italiano” che contribuì ad alfabetizzare l’Italia, era considerata troppo volgare

Eppure, la letteratura rosa, pur con i limiti sociali della sua nascita e pur non coincidendo con la letteratura scritta dalle donne, resta di decisiva importanza nella storia delle possibilità che via via si sono andate aprendo per le scrittrici negli ultimi due secoli. Più il mercato premiava il genere, più gli uomini ne prendevano le distanze. Carolina Invernizio, che alla fine dell’Ottocento aggiunge al rosa tutti i toni del nero con i suoi romanzi pieni di cupa meraviglia, fu rabbiosamente definita da Antonio Gramsci una “onesta gallina della letteratura popolare”. Intanto, il fascismo rendeva sempre più evidente la spaccatura, la tendenza alla dicotomia interna al genere: da un lato la “scuola Invernizio”, venata di grottesca cupezza, dall’altro una serie di innocui romanzi tutti uguali, poveri anche linguisticamente, dall’intento edificante e organico al regime. In mezzo, la scrittrice italiana più venduta di tutti i tempi, quella Amalia Liana Negretti Odescalchi che il Novecento ha visto spopolare come Liala, madrina di ogni scrittrice che voglia monetizzare la sua vita sentimentale, tra lutti, abbandoni e una vita erotica che Gabriele D’Annunzio, che le suggerì lo pseudonimo, sintetizzò così in una dedica: “A Liala, compagna d’insolenze”. Non a tutti gli intellettuali i suoi dieci milioni di copie andarono giù, e negli anni Sessanta arrivò anche a lei uno strale d’autore. Liala, la regina delle vendite, che scriveva in quel “bell’italiano” che contribuì ad alfabetizzare l’Italia, era considerata troppo volgare per meritare perfino un’accusa diretta, e il suo nome venne usato come insulto per un regolamento di conti fra maschi. Gli intellettuali del Gruppo 63 dissero che Carlo Cassola, che aveva vinto lo Strega, e Giorgio Bassani, che aveva vinto il Viareggio, con le loro decine di migliaia di copie (comunque sufficienti per attirarsi le antipatie dei meno venduti) erano “le Liale della letteratura”, mettendo insieme almeno due sbrigativi disprezzi (per i libri scritti dalle donne e per i libri popolari).

PUBBLICITÁ

 

La letteratura rosa, come tutte le letterature di genere, nasce sotto una stella dalla quale non si libererà mai: quella secondo la quale un libro nato al suo interno, per essere davvero buono, deve essere definito “non solo” di genere. E’ molto più di un giallo, esclamano gli intellettuali che si vergognano di essersi appassionati a un genere considerato minore; non è mica un romanzo rosa, precisano prendendo le distanze da un genere volgare; non è solo fantascienza, puntualizzano intendendo che c’è anche della letteratura dentro, come se quella fosse bandita dal recinto. Perfino della letteratura per ragazzi si dice “è un bel libro, non è solo per ragazzi” (poveri bambini e adolescenti, quindi i libri per loro devono essere tutti brutti?).

 

Il successo di Ann Todd, autrice del vendutissimo “After”, rielaborazione per adolescenti di “Cinquanta sfumature di grigio”

Patrizia Violi dedica poi parte del suo compendio a un sottogenere del rosa, la posta del cuore. Anche quella, scritta da uomini: Giorgio Scerbanenco risponde a lettrici e lettori dalle pagine di Grazia, e poi di Novella, e poi di Bella. Dichiarerà poi di aver cominciato a conoscere ed esplorare gli abissi umani che vengono fuori nei suoi gialli proprio dalle miserie e dalle sofferenze che la gente comune gli raccontava in quel modo così confidenziale. E’ però Brunella Gasperini, fra i pochi casi di autrice rosa apprezzata anche dalla critica, a trarre il più proficuo vantaggio dalla posta del cuore. Grazie alla rubrica Ditelo a Brunella, per venticinque anni sa tutto di come vivono le donne, cosa pensano, cosa desiderano, da cosa scappano. Il libro di Violi, dopo altre varie disamine, si conclude con l’analisi del successo di Ann Todd, classe 1989, autrice del vendutissimo After, sorta di rielaborazione delle Cinquanta sfumature di grigio per gli adolescenti, e del suo percorso da una piattaforma come Wattpad (l’edicola dell’ultimo decennio) alla libreria.

 

Nel nuovo millennio poesia e letteratura vendono sempre meno, e questo è un fatto. Poi ce n’è un altro, che ciascuno può interpretare come preferisce ma che di certo aiuta a leggere le eterne lamentazioni economiche, sempre autocertificate come riflessive, della bolla editoriale.

  

Oggi, nel mondo, ogni due secondi si vende un romanzo rosa.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ