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L’autocancellazione

Evoluzione della cancel culture. Per paura di offendere, ora gli scrittori ritirano i propri libri

Giulio Meotti

“La mia visione del mondo è limitata come persona bianca”. Così Alexandra Duncan rinuncia a pubblicare il suo romanzo. Ma non è un caso isolato

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Roma. L’evoluzione della cancel culture si chiama autocancellazione. Alle prime avvisaglie di critiche e per evitare di esserne travolti, gli scrittori si autodenunciano ed eliminano il proprio lavoro. Alexandra Duncan aveva già pronta anche la copertina di “Ember Days”. Il romanzo doveva essere pubblicato da Greenwillow, che fa parte del colosso mondiale dell’editoria HarperCollins. Ma l’autrice lo ha ritirato. Il problema? Il romanzo racconta di un afroamericano gullah, proveniente dall’America meridionale, ma Duncan è bianca. I twittaroli avevano già iniziato ad attaccarla: “Sono preoccupato per un autore bianco che scrive di gullah, un gruppo di persone sottorappresentato e cancellato”. L’autrice all’inizio ha provato a difendere il proprio lavoro. Poi il cedimento. “La mia visione del mondo è limitata come una persona bianca”, ha fatto sapere Duncan, “e mi ha portato a pensare che avrei potuto rappresentare responsabilmente un personaggio di cultura gullah. Non ero la persona giusta per provare a raccontare questa storia. Mi vergogno profondamente di aver commesso un errore di questa portata”. Il Publishers Weekly aveva pubblicato un articolo sull’autoannullamento di Duncan. Anche il magazine si è autocancellato: “Ci rammarichiamo per il danno che la pubblicazione di questa storia ha causato, così come ogni altro caso di violenza perpetrato su neri, indigeni e altre persone di colore”. “L’autore cancella il libro, la rivista specializzata riporta l’autocancellazione, la rivista cancella l’articolo sull’autocancellazione”, sintetizza il Wall Street Journal in un editoriale. “Il clima sta diventando così estremo che non si può più scrivere dalla prospettiva di chiunque sia diverso da se stessi”, osserva l’agente letterario Natasha Fairweather. 

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Roma. L’evoluzione della cancel culture si chiama autocancellazione. Alle prime avvisaglie di critiche e per evitare di esserne travolti, gli scrittori si autodenunciano ed eliminano il proprio lavoro. Alexandra Duncan aveva già pronta anche la copertina di “Ember Days”. Il romanzo doveva essere pubblicato da Greenwillow, che fa parte del colosso mondiale dell’editoria HarperCollins. Ma l’autrice lo ha ritirato. Il problema? Il romanzo racconta di un afroamericano gullah, proveniente dall’America meridionale, ma Duncan è bianca. I twittaroli avevano già iniziato ad attaccarla: “Sono preoccupato per un autore bianco che scrive di gullah, un gruppo di persone sottorappresentato e cancellato”. L’autrice all’inizio ha provato a difendere il proprio lavoro. Poi il cedimento. “La mia visione del mondo è limitata come una persona bianca”, ha fatto sapere Duncan, “e mi ha portato a pensare che avrei potuto rappresentare responsabilmente un personaggio di cultura gullah. Non ero la persona giusta per provare a raccontare questa storia. Mi vergogno profondamente di aver commesso un errore di questa portata”. Il Publishers Weekly aveva pubblicato un articolo sull’autoannullamento di Duncan. Anche il magazine si è autocancellato: “Ci rammarichiamo per il danno che la pubblicazione di questa storia ha causato, così come ogni altro caso di violenza perpetrato su neri, indigeni e altre persone di colore”. “L’autore cancella il libro, la rivista specializzata riporta l’autocancellazione, la rivista cancella l’articolo sull’autocancellazione”, sintetizza il Wall Street Journal in un editoriale. “Il clima sta diventando così estremo che non si può più scrivere dalla prospettiva di chiunque sia diverso da se stessi”, osserva l’agente letterario Natasha Fairweather. 

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Si potrebbe liquidare la vicenda Duncan come un caso di mitomania personale, se non fosse che di casi simili ce ne sono ormai già molti.

   

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Amélie Wen Zhao era pronta con il romanzo “Blood Heir”, una saga fantasy per adolescenti, e lo aveva già venduto alla Random House Children’s Books con un contratto da mezzo milione di dollari. Ma alcuni critici, che avevano letto le bozze, hanno liquidato il romanzo come “razzista”, così Zhao ha ritirato il libro. Immigrata desiderosa di fare “giustizia sociale”, Zhao aveva avuto l’ardire di raccontare di un mondo in cui gli schiavi non sono solo neri, sono schiavi e basta. Keira Drake in “The Continent” aveva incentrato la trama su una ragazza bianca che salva tutti. Eroina improbabile in tempi di white privilege. Così, accusata di “paternalismo razziale”, Drake ha ritirato il libro: “Ho potuto vedere i miei errori con chiarezza cristallina. Ero imbarazzata. Ho chiamato l’editore e ho chiesto di ritardare il libro”.

   

La pubblicazione del romanzo “When We Was Fierce” di E. E. Charlton-Trujillo, autore del già pluripremiato “Fat Angie”, è stata rinviata dall’autore e dall’editore a seguito di critiche. L’autore si è scusato per “insensibilità razziale”. Kosoko Jackson, scrittore afroamericano e gay, stava per uscire con “A Place for Wolves”, la storia di due omosessuali nella ex Yugoslavia. Dopo le accuse di “insensibilità culturale”, anche Jackson ha chiesto all’editore, Sourcebooks, di annullare l’uscita.

  

Uno degli scrittori che hanno firmato la lettera su Harper’s Magazine contro la cancel culture, Salman Rushdie, trent’anni fa fu travolto da una fatwa iraniana che ingiunse la cancellazione dei “Versetti satanici”, pena la cancellazione fisica dell’autore stesso. Rushdie fu lasciato solo da non pochi editori europei, che vacillarono per paura, dalla francese Christian Bourgois al tedesco Kiepenheuer. Oggi sono gli scrittori stessi, e non pochi editori, ad autocancellarsi in nome di un altro tipo di paura.

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Siamo nella trama di “Una solitudine troppo rumorosa” di Bohumil Hrabal, lo scrittore a lungo in disgrazia e sotto oblio forzato nell’ex Cecoslovacchia, che racconta di un uomo che per trentacinque anni lavora al macero di libri al bando, pressandoli in parallelepipedi di carta. Quando la cancel culture, almeno, era una cosa seria. Ma abbondava, oltre alla censura, anche il coraggio.

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