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Ágnes Heller che amava tanto la libertà da chiederla anche per i sogni

Micol Flammini

L’ultimo visionario libro della filosofa ungherese, scomparsa l'anno scorso

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Ágnes Heller la libertà l’ha cercata ovunque, spesso le è anche capitato di incontrarla fortuitamente, per incidenti della storia, ma per la libertà ha sempre scritto, ha sempre parlato, ha sempre sognato e ha sempre nuotato, anche a novant’anni. Sulla libertà di nuotare ci torneremo più tardi, ma bisogna partire dall’inizio per descrivere una personalità come quella della filosofa ungherese. E' sopravvissuta all'Olocausto assieme a sua madre, mentre suo padre viene deportato e muore ad Auschwitz. A Budapest si avvicina al comunismo, era giovanissima, e se ne allontana in fretta, non era difficile scorgere la mancanza di libertà dietro all’ideologia che governava l’Ungheria. Va in Australia, poi negli Stati Uniti e torna a Budapest dove vede la giovanissima speranza del mondo europeista e liberale diventare premier. L’involuzione di Viktor Orbán l’ha vista da vicinissimo, l’ha studiata. Niente di strano, doveva per forza accadere in Ungheria, aveva concluso nel suo libro pubblicato lo scorso anno da Castelvecchi dal titolo Orbánismo, perché gli ungheresi hanno perso la loro occasione di far crescere la democrazia. Con la promessa della libertà in mano, Budapest si è affrettata a mettere su nuove istituzioni che fossero diverse il più possibile, scriveva la filosofa, da quelle manovrate da Mosca. Poi è successo che quelle istituzioni fossero tanto, troppo simili al passato e ciò che sembrava una promessa di libertà si è trasformato nell’Ungheria malata d’Europa che conosciamo. Heller sosteneva che è nella storia che vanno trovate le ragioni del presente: il passato lo guardi e dentro ci trovi tutto. E’ così, dagli errori fatti dalla caduta del Muro in poi, che è nato l’Orbánismo. In un’intervista rilasciata al Foglio l’anno scorso, la filosofa ci consegnò una delle grandi previsioni di questa epoca. Eravamo alle porte delle elezioni europee, la coalizione dei sovranisti diceva di voler divorare l’Unione. “Si prenderanno a calci”, ci ha detto. E si sono presi a calci, in Italia lo abbiamo visto bene.

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Ágnes Heller la libertà l’ha cercata ovunque, spesso le è anche capitato di incontrarla fortuitamente, per incidenti della storia, ma per la libertà ha sempre scritto, ha sempre parlato, ha sempre sognato e ha sempre nuotato, anche a novant’anni. Sulla libertà di nuotare ci torneremo più tardi, ma bisogna partire dall’inizio per descrivere una personalità come quella della filosofa ungherese. E' sopravvissuta all'Olocausto assieme a sua madre, mentre suo padre viene deportato e muore ad Auschwitz. A Budapest si avvicina al comunismo, era giovanissima, e se ne allontana in fretta, non era difficile scorgere la mancanza di libertà dietro all’ideologia che governava l’Ungheria. Va in Australia, poi negli Stati Uniti e torna a Budapest dove vede la giovanissima speranza del mondo europeista e liberale diventare premier. L’involuzione di Viktor Orbán l’ha vista da vicinissimo, l’ha studiata. Niente di strano, doveva per forza accadere in Ungheria, aveva concluso nel suo libro pubblicato lo scorso anno da Castelvecchi dal titolo Orbánismo, perché gli ungheresi hanno perso la loro occasione di far crescere la democrazia. Con la promessa della libertà in mano, Budapest si è affrettata a mettere su nuove istituzioni che fossero diverse il più possibile, scriveva la filosofa, da quelle manovrate da Mosca. Poi è successo che quelle istituzioni fossero tanto, troppo simili al passato e ciò che sembrava una promessa di libertà si è trasformato nell’Ungheria malata d’Europa che conosciamo. Heller sosteneva che è nella storia che vanno trovate le ragioni del presente: il passato lo guardi e dentro ci trovi tutto. E’ così, dagli errori fatti dalla caduta del Muro in poi, che è nato l’Orbánismo. In un’intervista rilasciata al Foglio l’anno scorso, la filosofa ci consegnò una delle grandi previsioni di questa epoca. Eravamo alle porte delle elezioni europee, la coalizione dei sovranisti diceva di voler divorare l’Unione. “Si prenderanno a calci”, ci ha detto. E si sono presi a calci, in Italia lo abbiamo visto bene.

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L’ultimo libro di Ágnes Heller è stato pubblicato quest’anno, dopo la sua morte. La filosofia del sogno, tradotto da Matteo Anastasio per Castelvecchi, è una tela fatta di saggi, di appunti, di annotazioni della filosofa che si addentra nella materia a noi più cara, più segreta e più intima e ne fa estetica. Il libro si legge su più livelli: il sogno come categoria letteraria, il sogno come categoria filosofica (e mai psicologica) e il sogno come libertà. Quello spazio tutto nostro, che non ha mai un significato comune, che è fatto dei nostri desideri, di quello che soltanto noi catturiamo a occhi aperti, delle forme della nostra mente. Il libro è quasi una preghiera, una preghiera di libertà, la preghiera di liberare i sogni dagli schemi in cui certa psicologia li ha costretti. Il sogno è esistenza, si vive, come la storia, ma diversamente dalla storia non conosce il verosimile. La filosofa apre il libro con una metafora, l’episodio biblico della torre di Babele: “Se ognuno da sveglio parlasse il linguaggio dei propri sogni, la torre della comprensione reciproca crollerebbe”. I sogni, che hanno a che fare più con la filosofia che con la psicologia, più con l’arte che con la psicanalisi, devono essere liberi e così dobbiamo essere noi, i sognatori.

 

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A ognuno il suo sogno, a ognuno la sua libertà. La voglia di entrare nei nostri sogni non è arrivata con Freud, esisteva già. E’ scritto nella Bibbia, in Shakespeare, nei miti dei greci e nelle loro tragedie. Il maestro della psicanalisi li ha modellati fino a farli entrare in griglie, ed è a questo che Heller, che di libertà era assetata, si oppone. Si oppone alla loro interpretazione, che potrebbe essere falsa, abusa del sogno, fino a darne “un’interpretazione calunniosa”.

 

Era visionaria, la scrittrice ungherese che è morta nuotando nel lago Balaton lo scorso anno. Per amore della visione, del futuro e del culto della libertà nel libro difende i sogni. Lo fa attraverso la filosofia, difende anche quelli a occhi aperti, che sono tipici dei più giovani, che si dedicano più al futuro che al passato. I sogni, a occhi chiusi o spalancati, sono la sintesi di questo: ciò che abbiamo visto e ciò che non conosciamo.

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