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Michel Piccoli riusciva anche nei ruoli più bizzarri

Mariarosa Mancuso

Dalla “Grande bouffe” al Papa di Moretti. L'attore francese era ieratico e misterioso. E come sapeva evitare il ridicolo

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Avrà saputo del plexiglas? Della metratura da rispettare per mangiare in compagnia? Delle “spezie da tavola da pulire e disinfettare dopo ogni cliente”? (così dicono le regole per la riapertura dei ristoranti ticinesi, e lui alla lontana da lì proveniva). Michel Piccoli è morto la scorsa settimana, la notizia è stata data ieri, e per prima cosa viene in mente “La grande bouffe”. L’ammucchiata erotico-gastronomica – e sì, anche mortuaria – di Marco Ferreri che diede scandalo al Festival di Cannes del 1973. Per impastare si impastava, nella villa dove i quattro maschi stanchi annoiati avevano messo in atto il loro piano. Ma sulla pasta frolla, per dare forma al dolce, era poggiato il culo nudo di Andréa Ferréol.

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Avrà saputo del plexiglas? Della metratura da rispettare per mangiare in compagnia? Delle “spezie da tavola da pulire e disinfettare dopo ogni cliente”? (così dicono le regole per la riapertura dei ristoranti ticinesi, e lui alla lontana da lì proveniva). Michel Piccoli è morto la scorsa settimana, la notizia è stata data ieri, e per prima cosa viene in mente “La grande bouffe”. L’ammucchiata erotico-gastronomica – e sì, anche mortuaria – di Marco Ferreri che diede scandalo al Festival di Cannes del 1973. Per impastare si impastava, nella villa dove i quattro maschi stanchi annoiati avevano messo in atto il loro piano. Ma sulla pasta frolla, per dare forma al dolce, era poggiato il culo nudo di Andréa Ferréol.

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Gilles Jacob, che era suo amico e nel 2015 gli fece da sparring partner per l’autobiografia “J’ai vécu dans mes rêves”, alle parole di rito ha aggiunto “cocasserie”. Michel Piccoli era buffo, era divertente, aveva una faccia strana che riusciva in qualsiasi ruolo, per quanto bizzarro. Il dentista con una bella moglie che compra una bambola gonfiabile grande come una donna vera, e se ne innamora (in “Grandeur nature” di Luis García-Berlanga, pioniere del cinema spagnolo assieme a Juan Antonio Bardem – Javier Bardem gli è nipote). 

 

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Sempre con Marco Ferreri, Michel Piccoli aveva girato nel 1969 “Dillinger è morto”: la noia fatta film, ma così bene da restare incantati (alcuni restano più incantati di altri, va detto, ma bisogna ammettere che ha un suo fascino). Se dovessimo spiegare con un film il nichilismo esistenziale – o non sarà l’esistenzialismo nichilista? servirebbe Woody Allen quando nei suoi raccontini giocava con i filosofi – questo sarebbe perfetto. Michel Piccoli torna a casa, trova la consorte mezza addormentata (Anita Pallenberg, nella vita fidanzata con almeno un paio di Rolling Stones). Butta nella spazzatura la cena pronta e si mette a cucinare. Nell’armadietto delle spezie trova una pistola, la dipinge di rosso a pallini bianchi, cerca di farsi la cameriera Annie Girardot. Finché l’arma – avvolta in un giornale che annunciava la morte del bandito Dillinger – finalmente compie il suo dovere narrativo.

 

Luis Buñuel lo volle in “Bella di giorno”, nel “Fascino discreto della borghesia”, nel “Fantasma della libertà”. Di nuovo, sfruttando la figura di un attore collocato fuori dallo spazio e del tempo, ieratico e misterioso fino all’indecifrabilità. Per questo è diventato il prediletto dei registi d’arte e cultura, che hanno fatto di tutto per levargli la “cocasserie”. La ritrova, un pochino, nel film di Nanni Moretti “Habemus Papam”. Sperduto all’idea che deve affacciarsi al balcone e benedire la folla, dopo che i colleghi cardinali hanno scritto il suo nome sulle schede del conclave. Preferisce fare ciao con la manina alle guardie svizzere, nei giardini vaticani. Lo psicoanalista Nanni Moretti gli domanda se ha problemi con la fede. La psicoanalista Margherita Buy gli chiede “che lavoro fa?”. Solo Michel Piccoli poteva cavarsela evitando il ridicolo.

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