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Storia di una controrivoluzione

Mattia Ferraresi

Il direttore di BuzzFeed, Ben Smith, s’accasa al Nyt, il giornale che era stato incaricato di seppellire

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C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui la dirigenza del New York Times produceva dettagliati report interni nei quali, con tono allarmato, osservava l’inarrestabile ascesa di compagnie digitali come BuzzFeed, Vox, First Look Media, Huffington Post e altri, che con modelli innovativi accumulavano fatturato e lettori a discapito dei blasonati e giurassici media tradizionali. In quei documenti si leggevano cose del tipo: “Sono davanti a noi nella costruzione di sistemi di supporto per giornalisti digitali”, oppure “il nostro vantaggio giornalistico si sta assottigliando” e ancora “il divario crescerà se non miglioriamo in fretta”.

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C’è stato un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui la dirigenza del New York Times produceva dettagliati report interni nei quali, con tono allarmato, osservava l’inarrestabile ascesa di compagnie digitali come BuzzFeed, Vox, First Look Media, Huffington Post e altri, che con modelli innovativi accumulavano fatturato e lettori a discapito dei blasonati e giurassici media tradizionali. In quei documenti si leggevano cose del tipo: “Sono davanti a noi nella costruzione di sistemi di supporto per giornalisti digitali”, oppure “il nostro vantaggio giornalistico si sta assottigliando” e ancora “il divario crescerà se non miglioriamo in fretta”.

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Il senso di urgenza di questi memo era dettato da condizioni congiunturali, ma esprimeva in fondo un sentimento da fine di un’epoca: un’invasione di aziende ispirate all’ethos della Silicon Valley e sostenute da editori visionari, rigorosamente impuri, stava mandando in pensione un mondo intero, ancora popolato di “redattori che non hanno dimestichezza con il web” e di responsabili che passano “troppo tempo a occuparsi della composizione della prima pagina”. Non rimaneva che sprangare le finestre, chiudere le falle e disporre strategicamente sacchi di sabbia per arginare l’ondata. Era stato proprio BuzzFeed a dare conto del documento commissionato da A. G. Sulzberger – figlio dell’allora editore del Times, di cui poi ha preso il posto – senza riuscire a nascondere un pizzico di maliziosa euforia per l’ennesima prova documentale del vecchio mondo che si rendeva conto d’essere spacciato. Forte del suo business model ad assetto variabile, dove i ricavi di listicles e i gattini sostenevano le spese di un’ampia redazione giornalistica, BuzzFeed era l’avamposto della rottamazione delle news tradizionali.

 

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In quel tempo, sempre non troppo lontano, il direttore di BuzzFeed era Ben Smith, cronista brillante e grande produttore di scoop politici cresciuto alla scuola del New York Observer e poi esploso a Politico. Smith era l’uomo incaricato dall’imprenditore visionario Jonah Peretti di trasformare BuzzFeed in una corazzata equipaggiata per vincere la sanguinosa battaglia del giornalismo digitale. Fra le mansioni non scritte di Smith c’era anche quella di dimostrare l’obsolescenza di venerabili testate come il New York Times. Due giorni fa Smith è stato assunto del New York Times, dove farà il media critic, ruolo ridefinito dal leggendario David Carr, sostituito dopo la sua morte, nel 2015, da Jim Rutenberg, soluzione interna che ha inaugurato un pluriennale interregno.

 

Smith ha detto che gli mancava il lavoro di scrittura, l’adrenalina della cronaca, i ferri del mestiere e via dicendo, ma non si può non leggere nel percorso a ritroso dalla testata disruptive alla Gray Lady un segno dei tempi. Da quell’epoca non troppo lontana in cui tirava aria di dismissione e pensionamento, il New York Times ha cambiato modelli ed escogitato nuove soluzioni, ha rovesciato l’impianto di ricavi, puntando molto sugli abbonamenti e appoggiandosi sempre meno sulla pubblicità (oggi circa il 30 per cento dell’entrate deriva dagli ads, dieci anni fa era oltre il doppio), ha lanciato nuovi prodotti multimediali e ha allargato la redazione, puntando sulla qualità, attirando a sé molte firme autorevoli, proprio quel genere di professionalità che sembravano destinate a cercare spazio altrove, in lidi più aggiornati e meglio finanziati. Nel frattempo BuzzFeed e i suoi simili digitali si sono trovati in fase calante. Il vagheggiato “pivot to video” ha dato risultati deludenti, il modello s’è inceppato e lo scorso anno l’editore ha licenziato il 15 per cento della redazione, il primo round di tagli nel settore giornalistico durante la direzione di Smith. Il quale s’è prontamente risistemato nel mondo che era stato incaricato di mandare in pensione.

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