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Memorie di librerie

Nadia Terranova

Ogni volta che una chiude i battenti, chiude una visione del mondo: giusta, sbagliata, nostra, antagonista

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Sono nata in mezzo a una libreria. Nel 1978 mia zia era socia di una cooperativa che aprì, a Messina, una storica libreria indipendente che trent’anni dopo ha chiuso i battenti. Quella libreria, come un destino, ha accompagnato i primi venticinque anni della mia vita finché non mi sono trasferita a Roma: a occhi chiusi potrei dire com’era fatta, dov’era la sezione di filosofia, dove i ragazzi, dove si facevano gli incontri (ci vidi, tra gli altri, Andrea Camilleri, Vincenzo Consolo, Massimo Cacciari). Sono stata bambina e poi adolescente e poi studentessa di filosofia in quelle stanze, e per ogni età c’erano tre o quattro scaffali diversi. Ognuno misura le età come può: io le misuro così, con quegli scaffali. Ognuno misura lo spazio come può: io, per definire una zona abitata, penso a quante librerie contiene. C’è chi è fissato con le serie tv, chi con le ricette, chi con l’oroscopo, io, ogni volta che vado in una città nuova, in un quartiere nuovo, adocchio le librerie e mi fiondo a visitarle tutte, solo così mi sembra di cominciare a conoscere davvero un luogo, e se non ce ne sono lo definisco per assenza, penso a dove ce ne starebbe bene una.

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Sono nata in mezzo a una libreria. Nel 1978 mia zia era socia di una cooperativa che aprì, a Messina, una storica libreria indipendente che trent’anni dopo ha chiuso i battenti. Quella libreria, come un destino, ha accompagnato i primi venticinque anni della mia vita finché non mi sono trasferita a Roma: a occhi chiusi potrei dire com’era fatta, dov’era la sezione di filosofia, dove i ragazzi, dove si facevano gli incontri (ci vidi, tra gli altri, Andrea Camilleri, Vincenzo Consolo, Massimo Cacciari). Sono stata bambina e poi adolescente e poi studentessa di filosofia in quelle stanze, e per ogni età c’erano tre o quattro scaffali diversi. Ognuno misura le età come può: io le misuro così, con quegli scaffali. Ognuno misura lo spazio come può: io, per definire una zona abitata, penso a quante librerie contiene. C’è chi è fissato con le serie tv, chi con le ricette, chi con l’oroscopo, io, ogni volta che vado in una città nuova, in un quartiere nuovo, adocchio le librerie e mi fiondo a visitarle tutte, solo così mi sembra di cominciare a conoscere davvero un luogo, e se non ce ne sono lo definisco per assenza, penso a dove ce ne starebbe bene una.

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A me le librerie piacciono (quasi) tutte: quelle grandi dove puoi guardare i volumi perdendoti, quelle dell’usato (soprattutto loro!) con i fuori catalogo e le rarità e le informazioni letterarie e scientifiche che nessuna Wikipedia ti può dare, quelle piccoline, di una stanza sola, che stai così vicino al libraio che vi toccate i nasi quando parlate, quelle segrete che so solo io, quelle affollatissime che ci spio le persone, quelle con la caffetteria dove puoi anche bere e scrivere, quelle con una poltrona in vetrina, quelle che si inventano le vetrine, quelle che sono anche cartolerie, quelle che sono anche edicole, quelle di genere e quelle in mezzo al nulla.

 

Di ogni regione d’Italia io posso dire le librerie, a memoria, quasi di ogni città, di moltissimi paesi. So cosa ci ho comprato, che faccia hanno i librai, quanta fatica fanno e perché. Ne ho girate tante e ne vorrei girare ancora, se solo a volte non dovessi chiudermi in casa per scrivere – mi è capitato anche di scrivere pezzi di miei romanzi in alcune librerie dove avrei dovuto fare un incontro, mi è capitato di fare la libraia per un giorno, mi è capitato di spacchettare le novità con le amiche libraie. Se una libreria mi invita a fare la presentazione di un mio libro nel posto più sperduto e lontano che c’è, se posso seguo il mio primo istinto, ovvero prendo la valigia e ci vado.

   

Non si tratta di farsi promozione né di vendere qualche copia in più (se proprio dobbiamo essere precisi, i libri in testa alle classifiche raramente sono libri molto presentati, di solito camminano con le loro gambe), si tratta di andare a visitare una galassia fatta da gente che lavora moltissimo e di solito contro tutti, da persone che approdano in quelle stanze come naufraghi in un porto, da territori difficili che senza i libri sarebbero molto più tristi.

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Possiamo leggere tutti gli ebook del mondo (io no, a me piace la carta): nessuno occuperà lo spazio fisico e politico che occupa un libro. Possiamo bendarci gli occhi e dire che le librerie sono negozi come tutti gli altri, ma non è vero. Sono, certamente, anche degli esercizi commerciali, ma chi pensa che si entri in libreria per comprare quello che vuoi già comprare non c’è mai stato veramente: ci sono le librerie per ragazzi, con i laboratori e le letture animate e le offerte di intrattenimento per bambini e famiglie; ci sono le librerie di frontiera, con l’incessante attività di suggerimenti, gruppi di lettura, conversazione, ci sono le librerie femministe, dove in un mondo (sì, anche quello editoriale) dominato dal maschilismo le donne che scrivono hanno lo spazio che meritano. Se non trovi quello che volevi comprare compri qualcos’altro, se non vuoi comprare qualcos’altro vedi qualcos’altro. Ogni volta che una libreria chiude, chiude una visione del mondo: giusta, sbagliata, nostra, antagonista. A volte mi aggiro per Roma guardando i fantasmi delle librerie che c’erano, ne sono morte più di duecento, da quando ci vivo. Non so quante ne abbiano aperto, qualcuna però sì e in molte sono già stata, anche solo a sentire di nascosto che aria tira. In quella della mia infanzia non posso più tornare: ha chiuso. Conosco quella strada a memoria, è la strada dove è nato mio padre, potrei dire cosa c’è in ogni portone, solo il negozio che ha aperto al posto della libreria non lo ricordo: potrei vederlo cento volte e non memorizzarlo mai, passo lì davanti e non esiste. Non è colpa sua: non sei tu, sono io – dovrei dirgli, come si dice a tutti quelli che, poverini, non riescono a soppiantare un grande amore.

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