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L’artista impresentabile

Marina Valensise

Un libro contro gli amori di Gabriel Matzneff era inevitabile, nell’èra in cui l’arte viene dopo la moralità

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Inutile tirare fuori la lettera di addio scritta dalla giovane amante il 6 gennaio 1988 e finita in un saggio del 1997 (“De la Rupture”). Inutile leggerla con un filo di voce in un video su YouTube come se recitasse i versi di Racine, e riproporla come autodifesa in un articolo pubblicato dall’Express: “Allora ti prego, lasciami andare via, e trasformare noi due nei miei ricordi più belli. Sono felice che le ultime ore che ho vissuto con te siano state ore di felicità, di piacere, di tenerezza. Gli ultimi abbracci sapranno attenuare nella mia memoria gli istanti dolorosi per lasciare spazio ai momenti di intensa felicità. E presto ricorderò il

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Inutile tirare fuori la lettera di addio scritta dalla giovane amante il 6 gennaio 1988 e finita in un saggio del 1997 (“De la Rupture”). Inutile leggerla con un filo di voce in un video su YouTube come se recitasse i versi di Racine, e riproporla come autodifesa in un articolo pubblicato dall’Express: “Allora ti prego, lasciami andare via, e trasformare noi due nei miei ricordi più belli. Sono felice che le ultime ore che ho vissuto con te siano state ore di felicità, di piacere, di tenerezza. Gli ultimi abbracci sapranno attenuare nella mia memoria gli istanti dolorosi per lasciare spazio ai momenti di intensa felicità. E presto ricorderò il

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“Un libro il cui scopo è di precipitarmi nel calderone maledetto in cui in questi ultimi tempi sono stati gettati Woody Allen e Polanski”

meraviglioso Gabriel. Solo lui…”. Inutile protestare in una mail al Nouvel Obs contro l’ondata di accuse infamanti: “Apprendere che il libro che Vanessa ha deciso di scrivere mentre sono ancora in vita non è il racconto dei nostri luminosi e ardenti amori, ma un’opera ostile, cattiva, denigratoria, destinata a nuocermi, un triste miscuglio di una requisitoria da procura e di una diagnosi nata nello studio di uno psicanalista, provoca in me una tristezza soffocante”. Inutile ribadire il concetto nell’articolo sull’Express: “Utilizzando un pesante vocabolario psicanalitico, tenta di fare di me un perverso, un manipolatore, un predatore, un porco. Un libro il cui scopo è di precipitarmi nel calderone maledetto in cui in questi ultimi tempi sono stati gettati il fotografo Hamilton, i cineasti Woody Allen e Roman Polanski”. Inutile domandarsi perché “aspettare trentadue anni per pugnalarmi al cuore, come se fosse una prova di eterno amore?”. Ancora più vano invocare le ragioni dell’arte e citare Tolstoj per il quali solo il libri scritti col “il sangue del cuore” valgono la pena di essere scritti e letti, libri dinamite, dove l’autore prende dei rischi, gettandosi vivo nella fossa dei leoni. Inutile ricordare di aver nutrito la letteratura delle proprie passioni, delle proprie avventure, delle gioie e dei dolori realmente vissuti, a differenza di quei “prudenti pantofolai fabbricatori di ritagli di carta”, come li chiamava Lord Byron. Ancora più inutile rinviare al resoconto di quel lontano amore affidato a uno dei volumi del diario, “La Prunelle de mes yeux”. E addirittura pericoloso, in un’epoca come la nostra, insistere sulla voglia di scrivere sempre della propria irriducibile singolarità per fissare nero su bianco la propria rivolta, il rifiuto delle costrizioni sociali, la sete di libertà.

 

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Gabriel Matzneff, il più impudico degli scrittori francesi, il coltissimo libertino con un passato da epigrafista, l’epicureo lettore di Orazio e di Properzio, il figlio di esuli russi bianchi, rimasto fedele alla chiesa ortodossa, l’amante impunito di giovanetti in fiore che tiene un diario da quando è adolescente, è sempre stato convinto che giudicare un libro in base alla sua moralità, anziché in base alla sua bellezza e alla forza espressiva, fosse “una stronzata megagalattica” (come scrive lui stesso in italiano), perché la letteratura deve aiutare il lettore a liberarsi delle proprie catene, a diventare se stesso. Oggi, che la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta su di lui, per stupro sui minori, non è solo un appestato, ma viene considerato un criminale, un predatore sessuale da esporre alla pubblica gogna. Per tutta la vita ha coltivato l’insouciance, inseguendo piacere e felicità, evitando conflitti e rapporti di forza, ma adesso è precipitato dalla turris eburnea del maestro di stile per diventare un mostro di perversione, narcisista psicotico, seduttore seriale, cinico manipolate, schiavo delle sue pulsioni, da lapidare in pubblico e condannare senza appello.

 

Era convinto di averla scampata bella: “Le leghe puritane hanno preso il potere, è chiaro, ed è da temere durevolmente”, scrive nell’ultimo volume del diario (“L’amante de l’Arsenal”, Gallimard). “I miei libri sono scritti, pubblicati, sono tranquillo. Posso pronunciare il mio Nunc dimittis con la pace nel cuore, cosciente di aver fatto fruttare al meglio il talento che Dio nella sua mansuetudine mi ha offerto in dote”. E invece no: a 83 anni suonati, malato di cancro, povero in canna, costretto a sopravvivere col sussidio pubblico, è travolto dall’ultimo scandalo del puritanesimo quacchero che ora imperversa anche in Francia, da quando, la stampa e l’opinione pubblica, in preda al rimorso, cercano di combattere gli antichi demoni e i propri miti, a cominciare da quello dell’arte e della tradizione letteraria fondata sul culto della libertà e sulla libertà di osare.

 

Oggi, coi tempi che corrono, non è solo un appestato, ma passa per criminale, un predatore sessuale da esporre alla pubblica gogna

E’ successo che una delle ragazzine da lui amate più trent’anni orsono, “la rinnegata Vanessa, che tenta di cancellare il passato e negare i vecchi amori”, alias Vanessa Springora, da un mese direttrice della casa editrice Julliard, ha deciso di offrire la sua versione per raccontare la relazione che ebbe quattordicenne con lo scrittore allora appena cinquantenne, dando per la prima volta voce alla vittima di quello che ai suoi occhi fu un abuso sessuale. Uscito giovedì, ma preceduto da una promozione a tappeto, “Le Consentement” (Grasset) ha avuto l’effetto di una bomba nel microcosmo culturale francese. Le anticipazioni si sono subito tradotte in una chiamata di correo per la cosiddetta edicrazia e per l’intera classe dirigente, responsabile di aver coperto un comportamento oggi considerato deviante e di aver irriso chi lo denunciava come Denise Bombardier, la scrittrice del Quebec che nel corso di una trasmissione televisiva seguitissima accusò Matzneff di raccontare di sodomizzare ragazzine quindicenni, senza badare alle conseguenze delle sue azioni, e si scagliò contro la letteratura che offriva un alibi a quel tipo di confidenze.

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Era il 1990. Matzneff, ospite di Apostrophe, cercò di difendersi: “Sono il contrario di un macho, uno scrittore cortese, gentile, educato che rende felici le sue amanti”. Ma Philippe Sollers e Jacques Lang, che all’epoca erano i suoi comparelli, non si mostrarono altrettanto cortesi quando bollarono la canadese coll’epiteto di “mal baisée” e le diedero un virile consiglio: “Tornartene sulle banchise a gelarti il culo”. Rimesso oggi in circolazione il video di quel programma di trent’anni fa, con le domande birichine del presentatore e i risolini divertiti degli altri ospiti, ha spinto Bernard Pivot all’autocritica: “Negli anni 70 e 80 la letteratura passava prima della morale, ora è il contrario. Moralmente è un progresso, ma noi siamo il prodotto di un’epoca”. La professione di relativismo però è stata sommersa dagli insulti online, e Pivot si è dovuto produrre in un altro mea culpa: “Non ho avuto la forza di carattere e nemmeno le parole necessarie”.

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Altri tempi, certo, e soprattutto altri costumi. Erano gli anni in cui Sartre, Simone de Beauvoir, che pure in fatto di pedofilia non scherzavano (famosi i loro amori circolari e il “Disgraceful Affair” con la liceale Bianca Lamblin), chiedevano la depenalizzazione dei reati sessuali sui minori, firmando petizioni con Roland Barthes, André Glucksmann, Gilles Deleuze e il fior fiore della cultura francese. Erano gli anni in cui la psicanalista Françoise Dolto e il dottor Pierre Simon, alfiere della contraccezione, si battevano per liberare la sessualità infantile. Erano gli anni in cui “gli intellettuali volevano affrancarsi da tutti i codici e da ogni morale”, come disse alla canadese Bombardier lo stesso presidente François Mitterrand il giorno in cui le diede la Legion d’onore. E però Mitterrand era sodale di Lang, suo ministro della Cultura, e di Matzneff era amico, tanto che lo scrittore si teneva nel portafoglio una sua lettera, come lasciapassare davanti alla Brigade des mineurs, che ogni tanto lo va a trovare. E’ una delle rivelazioni del libro di Vanessa Springora, che ricorda ogni momento di quella relazione incandescente tra lei quattordicenne e un brillante scrittore di trentasei anni più vecchio.

 

Scritto in prima persona, il libro è un racconto tremendo che vuol essere un risarcimento e al tempo stesso un saggio terapeutico

Scritto in prima persona, è un racconto tremendo che vuol essere un risarcimento e al tempo stesso un saggio terapeutico per uscire dallo spossessamento di sé, dalla perdita di autostima, dalla morte della fiducia nell’altro, col triste strascico di depressione, sensi di colpa, disturbi alimentari, episodi psicotici conseguenti all’abuso subìto trent’anni fa. Perché di questo si tratta secondo Vanessa Springora, e non di un amore ardente e luminoso come sostiene il suo ex, anche se all’inizio tutto sembrava promettere in tal senso, almeno agli occhi di quell’introversa figlia unica testarda di una coppia così male assortita da saltare per aria. La madre bionda e bellissima si era sposata molto giovane. Il padre era un collerico irascibile: maniaco ossessivo, malato di gelosia, non faceva che insultarla e trattarla malissimo, prima di abbandonare la famiglia e scomparire. La piccola cresce da sola con la madre, che suona il piano e vive senz’arte né parte in una mansarda piena di amici, lavorando per una casa editrice. La figlia gioca al camping car con Barbie e Ken, e subisce il sarcasmo del padre che passa dì lì e domanda: “Alors ça baise?”. In vacanza, in un albergo di montagna, finge di dormire per non sentire nel letto accanto i gemiti della madre e dell’amante di turno. Tornata a Parigi, la sera aspetta per ore il padre da sola in un ristorante di lusso, finché il cameriere non le rifila i soldi per tornare a casa in taxi. L’incontro con lo scrittore sarà per lei un sortilegio, prima di diventare un’illusione. Avviene durante una cena in casa di amici della madre, dove lei tredicenne va malvolentieri, si mette a leggere Eugénie Grandet e all’improvviso sente lo sguardo di lui scivolarle come una carezza sulla guancia. Lo scrittore è un bell’uomo, senza età, ha il corpo di un ragazzino, gli occhi azzurri, le mani sottili. Colma il vuoto dell’abbandono e ha subito via libera. “Non lo sai che è pedofilo?”, la mette in guardia la madre che scoperta la tresca, minaccia di mandarla in collegio. Ma la figlia non ne vuole sapere: “Che mi importa, mica ho otto anni”, le risponde sfidandola, pronta a morire, piuttosto che rinunciare all’unico amore della sua vita. Nel giro di un anno l’assedio si trasforma in conquista. Lettere, libri, poesie, passeggiate al Luxembourg, promesse sfavillanti, attese romantiche. G. l’aspetta all’uscita della scuola, la porta nel suo sottotetto e la prima volta la prende da dietro perché quel corpo da adolescente lo rifiuta. Così l’anormalità per lei diventa la sua nuova identità, nell’ambivalenza perfetta di vivere un romanzo d’amore, pur avvertendo la sensazione di qualcosa di strano: “A quattordici anni non si dovrebbe essere attesi da un uomo di cinquanta all’uscita di scuola, non si dovrebbe vivere in albergo con lui, né ritrovarsi nel suo letto, col suo membro nella bocca all’ora della merenda”. L’impostura la scopre a poco a poco, quando capisce di essere asservita ai desideri di lui e alla sua opera, come un personaggio del suo diario, la ragazzina instabile, gelosa, isterica, angosciata, che di nascosto riesce a leggere i libri proibiti, gli appunti e il diario di lui e sente di non essere la sola, l’unica, la preferita, destinataria di un sentimento esclusivo, ma solo un’ombra, un’appendice, l’espediente per dare vita a qualcos’altro. Inizia così la fine dell’amore.

 

Erano altri tempi, gli anni in cui Sartre e Simone de Beauvoir chiedevano la depenalizzazione dei reati sessuali sui minori

“G. è un artista, un grande scrittore. Non cambierà mai. Devi accettarlo com’è, accompagnarlo sul cammino della creazione, piegarti ai suoi capricci, perché ti adora”, le dice l’amico dello scrittore Emil Cioran, il filosofo nichilista, l’esule rumeno che a Parigi ha trovato “le point le plus loin du Paradis, mais où il fasse bon désesperer”. “Ma mente di continuo”, insiste lei. “La menzogna è letteratura, non lo sai?”. Il giorno in cui finisce per scoprire a proprie spese che per G. scrivere significa distorcere la realtà senza mai rivelare la minima verità su se stesso, nemmeno quella fatale dell’abuso che avrebbe subito da ragazzino, decide di mollarlo. “Poverino. Sei sicura? Lui ti adora”, commenta la madre rattristata. Certo la responsabilità è solo sua, ma nessuno intorno a lei ha fatto quel che doveva fare, non la madre, non il padre, non la famiglia inesistente, non la scuola, e nemmeno il ginecologo che le fa una piccola incisione per aprirle l’imene.

 

Il peggio arriva come uno stillicidio, quando scopre che le sue lettere pullulano nei romanzi e nel diario di lui, e capisce di essere diventata un personaggio fittizio, un cliché letterario, l’infedele che ha tradito un amore ideale. Inutile denunciarlo, citarlo in tribunale. Inizia allora il lavoro su se stessa per riappropriarsi di quella parte di sé danneggiata per sempre, e ricostruire il giocattolo rotto. Mai si sarebbe aspettata tanto clamore ai danni di un povero vecchio malato, che oggi nessuno legge più. Meglio riflettere sulle colpe collettive, sull’assenza delle istituzioni, sulla solitudine dei minorenni abbandonati a se stessi davanti al desiderio degli adulti. L’unica pietas sta nel suo modo di guardare all’ex amante. “E’ un efebofilo, un amante della pubertà, perché lui stesso è rimasto bloccato a quell’età. Pur essendo tremendamente intelligente, psicologicamente è rimasto un adolescente. Per questo, quando va con le ragazzine, si sente anche lui un quattordicenne, e dunque non è cosciente del male che fa”.

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