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Che delusione Cioran, nichilista a parole ma imbottito di calmanti omeopatici

Camillo Langone

“Una segreta complicità’”, il carteggio con Mircea Eliade

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Ho chiuso il carteggio Cioran-Eliade (“Una segreta complicità. Lettere 1933-1983”, Adelphi) tirando un sospiro di sollievo. Nessuno dopo la mia morte pubblicherà i miei carteggi, innanzitutto perché non esistono (e poi perché non hanno alcun potenziale commerciale, chiaro). Nessuno potrà guardare dietro le mie quinte e inchiodarmi a messaggi mediocri, scritti in fretta, legati a contingenze prosaiche. Cosa che purtroppo, a causa del succitato volume, succede a Cioran, autore di titoli bellissimi fra i quali “Esercizi di ammirazione” e che però stavolta riesce difficile ammirare, anche esercitandosi molto.

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Ho chiuso il carteggio Cioran-Eliade (“Una segreta complicità. Lettere 1933-1983”, Adelphi) tirando un sospiro di sollievo. Nessuno dopo la mia morte pubblicherà i miei carteggi, innanzitutto perché non esistono (e poi perché non hanno alcun potenziale commerciale, chiaro). Nessuno potrà guardare dietro le mie quinte e inchiodarmi a messaggi mediocri, scritti in fretta, legati a contingenze prosaiche. Cosa che purtroppo, a causa del succitato volume, succede a Cioran, autore di titoli bellissimi fra i quali “Esercizi di ammirazione” e che però stavolta riesce difficile ammirare, anche esercitandosi molto.

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A uscirne meglio è Eliade che non si è mai atteggiato a stilista della vita e della pagina. Mircea Eliade era un professore, uno storico, uno studioso la cui autobiografia (pur non insignificante) interferisce poco o nulla con la ricezione delle opere. Il “Trattato di storia delle religioni” è impermeabile alle vicende personali dell’autore, mentre da colui che ha scritto “L’inconveniente di essere nati” ci si aspetta un minimo di coerenza, un comportamento più filosofico. Che Cioran non fornisce, ad esempio lamentandosi con l’amico delle proprie cattive condizioni di salute. Non una volta bensì molte volte, per decenni. Non ha ancora compiuto cinquant’anni e già l’aforista rumeno (ma oramai di lingua francese) riempie di dettagli medici le lettere al connazionale ed è un catalogo di anemie, influenze, reumatismi, pressione alta (nonostante mangi pochissimo), disturbi gastrici, mal di gola… A un certo punto deve fare una rettoscopia e ha proprio paura di morire, palesando di non avere imparato molto dai suoi maestri scettici, cinici, stoici, e nemmeno dai suoi stessi testi.

  

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Anziché lasciarsi morire di fame come Democrito si appiglia a cure improbabili: “Mi imbottisco di calmanti omeopatici”. Poi ritrova, se non lo stoicismo, almeno la ragione, e passa agli antibiotici. Ma il danno d’immagine è fatto, si è capito che il grande nichilista non ha nessuna voglia di tornare al Nulla. Sulla base di mezzo secolo di lettere che forse sarebbe stato meglio non scrivere, addebito a Cioran una serie di colpe, piccole per le persone piccole e notevoli per un siffatto personaggio: la tentazione del buddismo, l’affidarsi al riso integrale e all’infuso di verbena (quando il meno ascetico amico andava avanti a caffè), la mania delle vacanze… Cose da quarantenne urbana qualunque, indegne del pensatore che ha scritto “Sommario di decomposizione”. Perché mai un autore che ha sempre professato la nullafacenza dovrebbe andare in vacanza come un lavoratore, come un impiegato? Per riposarsi da cosa? Scegliendo per giunta luoghi alquanto comuni quali Dieppe, Antibes, Santander, Ibiza… Attraversa la Manica e si lagna del tempo come un turista da comitiva: “Che delusione l’Inghilterra! Piove ininterrottamente”.

  

   

Che delusione Cioran, piuttosto. Mi ha dato fastidio anche il parassitismo ostentato, il vivere senza lavorare dunque pesando sugli altri e meno male che Eliade spesso e volentieri allegava alle lettere generosi assegni. Con stile, senza farli pesare, anzi incoraggiando a spendere. E pensare che non era ricco, lo storico delle religioni costretto all’esilio dal regime comunista rumeno per buona parte della sua vita: semplicemente si dava da fare, adattandosi a fare il diplomatico o il professore secondo le necessità e le possibilità. Ecco, il carteggio Cioran-Eliade mi ha fatto simpatizzare per il secondo, raro esemplare di intellettuale non invidioso, profondo e semplice al contempo, sempre pronto ad aiutare i connazionali nel bisogno. Nessuno dei due sembra capire molto di politica. “Mi trovo benissimo a Berlino, e sono persino entusiasta dell’assetto politico”, scrive Cioran nel 1933, dunque sotto Hitler. “Non credo che la Germania possa essere messa in ginocchio con tanta facilità”, scrive Eliade nel 1944, più anticomunista che preveggente. Salvo poi diventare filo-israeliano dopo la Guerra dei Sei giorni: “E’ stata l’unica gioia – sul piano politico – degli ultimi anni. Spero Dayan sappia conservare quel che ha conquistato”. Sono entrambi preoccupati dal Sessantotto, anche se Eliade di più (Cioran inizialmente appare quasi neutrale). Le lettere che lo storico spediva da Lisbona e Cascais fanno venire voglia di Portogallo, quelle che l’aforista spediva da Parigi non fanno venire voglia di Francia. Ma questo ci sta, provenendo da un anti edonista che viveva nella Ville Lumière non molto diversamente da come aveva vissuto nell’oscura Transilvania.

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