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Lo scoppio, i danni, la morte di Lady Cochrane. Così se ne va la Beirut gloriosa

Michele Masneri

Era la gran dama della capitale del Libano, una specie di Giulia Maria Crespi libanese; discendente della più importante famiglia della città e di quel medio oriente che un tempo era un posto glamour e allegro

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Roma. E’ morta due giorni fa lady Yvonne Cochrane Sursock, per le ferite riportate nella terribile esplosione del porto di Beirut del 4 agosto. Aveva 98 anni ed era la gran dama di Beirut: abitava nel suo palazzo che dava il nome alla via che dava il nome al quartiere (dunque mica facile trovarlo in una rue Sursock accanto al museo Sursock), dove si conservavano come cimelio e scaramanzia schegge di bombe delle infinite guerre civili e non che distruggevano sistematicamente il Libano (“e pensare che era sopravvissuta a ben tre conflitti”, mi dice il nipote Francesco Serra di Cassano).

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Roma. E’ morta due giorni fa lady Yvonne Cochrane Sursock, per le ferite riportate nella terribile esplosione del porto di Beirut del 4 agosto. Aveva 98 anni ed era la gran dama di Beirut: abitava nel suo palazzo che dava il nome alla via che dava il nome al quartiere (dunque mica facile trovarlo in una rue Sursock accanto al museo Sursock), dove si conservavano come cimelio e scaramanzia schegge di bombe delle infinite guerre civili e non che distruggevano sistematicamente il Libano (“e pensare che era sopravvissuta a ben tre conflitti”, mi dice il nipote Francesco Serra di Cassano).

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Lady Sursock era una specie di Giulia Maria Crespi libanese; discendente della più importante famiglia della città e di quel medio oriente che un tempo era un posto glamour e allegro e non l’incubo di conflitti e satrapie petrolifere di oggi. A un certo punto aveva fondato l’Apsad, associazione per la conservazione delle dimore storiche, una specie di provocazione in un paese e con un leader, Hariri, che lei chiamava “un adolescente ritardato”, e che aveva come massimo obiettivo demolire e ricementificare Beirut. Si andò l’anno scorso a incontrarla, quando la città era tranquilla, a parte gli inquietanti blackout che si susseguivano ogni cinque minuti.

 


 Le conseguenze dell’esplosione al porto di Beirut in uno dei saloni del palazzo di Yvonne Cochrane Sursock, foto LaPresse

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Lei era un personaggio tra “Downton Abbey” e “Mitford Sisters”: se ne stava nel suo palazzo – palazzo leggendario, dimora moresca che dominava la città, tra i cimeli di famiglia e i Guercino e i Corcos, sul cucuzzolo di quella metropoli ormai disseminata dai grattacieli della colossale speculazione edilizia ma che un tempo era stata “la Parigi del medio oriente”. Se ne stava, lady Sursock, a leggere dei vecchi giornali francesi, tutta contenta di qualche visitatore, nel suo tailleurino. Figlia di una Serra di Cassano, sposa di un baronetto inglese di stanza in Libano, era cugina soprattutto della leggendaria Isabelle Sursock che maritata Colonna comandò su Roma come regina ufficiosa dell’aristocrazia (e lì, memorie soprattutto malapartesche); pranzammo a un tavolino rotondo con della pesante argenteria e un vecchio maggiordomo da film, istruito a non concederle il sale che le faceva male e che lei continuamente invece chiedeva (in tre lingue). Il palazzo è molto danneggiato, mi dice adesso la figlia Isabelle Cochrane, e col palazzo se ne va la Beirut gloriosa di un tempo: ma sua madre per fortuna non ha fatto in tempo a vedere lo stato in cui son ridotti, né l’uno né l’altra.

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