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“Il mio regalo blu alla Roma post Covid”

Simone Canettieri

Massimiliano Fuksas svela il progetto avveniristico del nuovo Spallanzani, l’ospedale d’eccellenza nella lotta al coronavirus. Si chiamerà No Hospital. “Per afferrare la modernità non c’è solo il modello Genova”

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Roma. E così Roma avrà un’altra Nuvola? “Calma, è un piccolo grande progetto, ma molto importante. Si chiamerà No Hospital. Sarà il mio regalo alla città, un lascito. Un messaggio di speranza, certo, perché sorgerà all’interno dell’Istituto Spallanzani che ci ha difeso dal Covid, un esempio in Italia e nel mondo. Ma anche, e soprattutto, mi auguro che sarà un modello per pensare al futuro delle grandi città dopo questa crisi che comunque ci ha insegnato un paio di cose da tenere bene a mente”.

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Roma. E così Roma avrà un’altra Nuvola? “Calma, è un piccolo grande progetto, ma molto importante. Si chiamerà No Hospital. Sarà il mio regalo alla città, un lascito. Un messaggio di speranza, certo, perché sorgerà all’interno dell’Istituto Spallanzani che ci ha difeso dal Covid, un esempio in Italia e nel mondo. Ma anche, e soprattutto, mi auguro che sarà un modello per pensare al futuro delle grandi città dopo questa crisi che comunque ci ha insegnato un paio di cose da tenere bene a mente”.

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Massimiliano Fuksas risponde al telefono dall’isola di Pantelleria, il buen ritiro dove ha passato gran parte della quarantena con la sua Doriana. Mentre parla ha l’indaco, l’ocra e lo smeraldo negli occhi, i colori dell’isola. Ma la mente dell’architetto (il suffisso è star) corre a Roma. “La mia città, quella che – racconta al Foglio – accolse mio padre, un chirurgo ebreo, arrivato nella Capitale attraverso la Germania dalla Lituania. Ecco perché ho deciso di donare il ‘concept’ allo Spallanzani”.

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Il progetto sarà presentato in settembre. Dall’Istituto epidemiologico già gongolano: si vedrà da tutta Roma. Appunto. I problemi potrebbero essere noti, ben annidati nei dettagli che tali alla fine non sono: la burocrazia, il dirigente dell’ufficio che non si trova, le piccole gelosie e poi, certo, i soldi.

 

Il romanzetto Capitale. “Ah, i soldi ci sono: l’opera sarà finanziata quasi interamente dalle donazioni raccolte durante l’emergenza coronavirus, poi ci sarà una piccola parte di finanziamento pubblico”. E quando si parte? “Fosse per me anche domani, noi ci siamo”.

  

Fuksas ha visto in tv l’inaugurazione del nuovo ponte San Giorgio a Genova. E quasi tende a prendere le distanze dalla retorica della straordinarietà che si fa eccellenza. “Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. Vuol dire che per vedere in tempi decenti il suo “No Hospital” non serviranno deroghe ai codici? Questo articolo non diventerà un documento storico da tramandare ai nipotini? Ride. E poi si fa serio. “Secondo, me basta che ci sia una classe dirigente all’altezza e poi tutto fila liscio, compresa la burocrazia dei mille paletti”.

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A settantasei anni dunque è un inguaribile ottimista, e questo fa ben sperare. “E perché non dovrei esserlo? Se ho costruito milioni di metri quadrati della nuova Fiera di Milano in pochissimo tempo perché non si può fare altrettanto per un progetto più piccolo. Adesso dobbiamo vivere nella normalità, una nuova normalità. Rilancio, ripartenza”.

  

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Ora ci sono tutte le coordinate, e si può parlare finalmente del “come sarà”. “Sarà una struttura blu, leggera per dare un senso di serenità e sanificazione a tutto il complesso. Sorgerà nella corte interna, Ecco perché l’ho chiamato ‘No Hospital’ in quella che tecnicamente è la camera calda, tra il pronto soccorso e i laboratori dove si studia per trovare un vaccino”.

  

Sarà dunque un elemento nuovo che metterà insieme tecnologia e medicina. “Una zona ecologicamente perfetta, con zero emissioni e con un recupero del CO2 prodotto dai condizionatori”. E poi pannelli fotovoltaici e un bosco, non verticale, ma orizzontalissimo, in un’area vicina che ora è abbandonata. “Immagino ambulanze elettriche che entreranno in questa zona”. E dunque gli operatori e i pazienti. E infine i ricercatori. Il presepe dell’emergenza. Roma può e deve essere un modello, dice ancora l’archistar (anche se per provinciale comodità si fa prima a chiamarlo sempre maestro).

 

Insomma, dove ci sono state sofferenze e tute protettive nascerà qualcosa di celeste. Un velo che diventerà elica. Pulito, impalpabile, anestetizzato. Blu. No virus. Un tributo alla bestia tenuta a bada, in questo istituto d’eccellenza che fa ben sperare per tutto il resto della città che in questi mesi le si è aggrappata addosso. E’ andata bene.

  

Fuksas vuole parlare anche di altro: della rivincita delle periferia nella fase 4, di come la parola centro storico cambierà di significato (“A Roma il centro è abitato da centoventiseimila persone, tre milioni stanno fuori”) e vuole parlare di come i monolocali andrebbero aboliti con un decreto regio per fare spazio ad appartamenti comodi dove gli anziani hanno i ragazzi che fanno smart working al piano di sotto (Ah zio, mi dai la password?). Un sistema di protezione sociale e urbanistico. “C’è un grande lavoro da fare ma Roma può diventare attrattiva, serve la classe dirigente”. Segue nel cellulare un fischio che potrebbe essere vento che soffia dal suo dammuso di Pantelleria, ma anche sciabordio. Il maestro starà camminando sull’acqua?

  

Non si sa. Ma rimane l’ultimo dubbio. Cosa abbiamo imparato dal Covid? “L’Italia deve puntare sulle donne, che sono stato un esempio, e sul sud che si è protetto bene, peccato per il reddito di cittadinanza, un sistema clientelare che non funziona. Ma ci salverà il talento, vedrete”. Clic.

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