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(1947-2023)

Giorgio Ferrara e un ricordo personale su una famiglia straordinaria

Lodovico Festa

In lui la cultura si trasformava in una rara sensibilità umana. Un tratto di civiltà che si trasmette di generazione in generazione: è stato molto di più di un “fratello”

Come ha detto una volta la moglie, quando ci si innamora di Giuliano, ci si innamora anche della sua famiglia. Chi ha conosciuto il padre Maurizio e la madre Marcella non può non condividere quel che dice Selma, e questo vale assolutamente per il suo fratello maggiore: c’è un tratto di civiltà trasmesso dalla famiglia Ferrara che mi ha sempre colpito ogni volta che ho avuto rapporti con loro. Chi conosce l’impegno di Giorgio nel teatro, dal lavoro con Luca Ronconi fino alla direzione del Teatro stabile veneto, chi ha visto le sue opere cinematografiche e televisive, ammira la sua professionalità illuminata da una profonda cultura. Ma chi lo ha conosciuto personalmente, chi ricorda il suo amore con Adriana Asti, chi ha potuto cogliere il delicato e magnifico rapporto con il non di rado irruente fratello minore, oltre alla cultura e alla professionalità ha un ricordo innanzi tutto di quanto la cultura in lui si trasformasse in una sensibilità umana rara.

In tanti anni di rapporti professionali e poi di amicizia con Giuliano, io che sono coetaneo di Giorgio posso testimoniare quante volte “il fratello maggiore” dava al “fratello minore” un sostegno morale, psicologico preziosissimo, quanto vivesse in Giorgio quello spirito della famiglia Ferrara che incantava chi, dopo aver conosciuto il mio vecchio travolgente “direttore”, aveva l’occasione di cogliere l’ambiente che lo aveva formato e sostenuto. Oggi piangiamo la scomparsa di un intellettuale, di un artista, di uno splendido organizzatore culturale ed è assolutamente sbagliato ricordarlo solo in quanto “fratello”. Però non voglio qui ricordare un fratello ma una persona che ha partecipato alla vita di una famiglia così straordinaria.

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