Piazza del Campidoglio (Wikipedia)

Riflessi pavloviani

A Milano si dimette un manager pubblico. E a Roma tutti stupiti: dimissioni?

Salvatore Merlo

Le dimissioni del presidente di Milano Ristorazione viste dalla capitale, dove nessuno sembra voler mai lasciare il proprio posto. Neppure quando crolla una scala mobile della metropolitana

In Italia in genere si dimettono gli innocenti o i capri espiatori. Mentre resistono, con le unghie e con i denti, i colpevoli. E soprattutto i furbi. Sarà per questo che al comune di Roma, per dire, non si dimette praticamente mai nessuno. Nemmeno quell’assessore del Pd, Monica Lucarelli, che fino a poche settimane fa aveva come collaboratrice una tizia che dava informazioni in cambio di denaro al clan mafioso dei Casamonica. La signora Lucarelli, che ha pure detto una mezza bugia sul ruolo che lei stessa aveva affidato a questa collaboratrice, pur di non mollare la poltrona ha preferito far dimettere un suo impiegato dello staff. Si fa così.

 

A Milano invece, sabato, al culmine di una gestione per così dire non perfetta, almeno a detta di molti, e dopo che un bambino d’una scuola primaria ha trovato una vite dentro il suo panino al prosciutto, si è dimesso il presidente di Milano Ristorazione. Il responsabile delle mense comunali. La notizia è precipitata su Roma, la città dove i dipendenti delle municipalizzate non raccolgono la monnezza e si fregano pure la benzina dei mezzi, come se venisse da Marte. I consiglieri comunali si fermavano sbalorditi. Sul volto dei manager, quelli che amministrano società in cui i dipendenti fumano mentre guidano gli autobus, si disegnava un arrossito stupore: da dove arriva un’idea tanto singolare, un’invenzione così rara? Ohibò, le dimissioni. Qua non ci si dimette nemmeno quando crolla una scala mobile della metropolitana.

 

L’unico a dimettersi nella capitale della ricotta è stato Albino Ruberti. Il capo di gabinetto del sindaco Roberto Gualtieri. Quel simpaticone dalla faccia che pare un identikit, quello che di notte urlava a un consigliere regionale e al fratello: “Mettetevi in ginocchio o vi sparo”. Per schiodarlo dal comune ci vollero all’incirca i Vigili del fuoco. Il sindaco aveva tentato di tenerselo. Strenuamente. E se non ci fosse stata la campagna elettorale per le regionali (poi perduta dal Pd), ecco che Albino – detto Rocky – sarebbe ancora lì in comune a fare inginocchiare qualcuno (“o vi sparo”). Prima di lui s’era dimesso quasi quindici anni fa soltanto un comandante dei vigili urbani. Era stato beccato con un falso permesso per disabili mentre posteggiava la sua auto nei posti riservati ai portatori di handicap. Per il resto, a Roma, se dite di uno: “Non è più assessore”, o “non dirige più l’Atac” trovate subito chi vi domanda: “E adesso dove l’hanno messo, all’Auditorium?”. Nessuno che sia mai restituito alle calzature, all’agricoltura o al commercio ambulante. E poi dicono che Roma non è la città delle opportunità.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.