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Maestro di vita

Discreto e affabile, Ceschino Montanari prendeva le misure al suo e al tuo mondo

Giuliano Ferrara

Una di quelle persone della cui morte si può dire quel poco. Lo psicanalista che in vita si è fatto scoprire solo fino a un certo punto. Il ricordo del terapeuta che ha fatto dell'ingenuità una conquista

La sera del 3 gennaio moriva a Roma dopo giorni di sonno e tenue veglia, nella sua casa di via Collina, Francesco “Ceschino” Montanari, ben oltre i novant’anni, discreto e affabile maestro di vita per generazioni, patriarca di una numerosa e industre famiglia molto amata (Paolina, Giovanni, Roberto e nipoti), psicoanalista junghiano, terapeuta e inventore quotidiano di un cerchio perfetto di amici devoti, der Gärtner aus Liebe secondo la definizione di Jacopo Pellegrini, il buon figliolo ingenuo, romantico e malizioso che aveva imparato a coltivare da Dio il suo giardino di Bengodi a Talamone, tra il mare e la collina, aprendolo a pranzi conversazioni concerti. “Poco importa che ‘buon figliolo’ Ceschino sia solo di riflesso, che in lui l’ingenuità (nell’accezione romantica del termine) sia una conquista a posteriori, un habitus mentale mediato dalla Kultur, non un fatto di natura a priori: una scelta personale, privata, non un destino. E pur tuttavia una scelta coronata di viole, una decisione ornata di rose” (Pellegrini).

 

Certe uscite di scena da vecchi sono dolorosamente prevedibili, imprevisto è lo stile delle ultime telefonate e parole, di confidente e distaccata eleganza, dedicate a chi lo amava. Era un romagnolo di Lugo, un appassionato dunque, un attore di intelligenza e squisitezza rare, con un registro univoco ma colorito di storie ora in via di pubblicazione, dopo tanti anni di riserbo mondano. Senza essere scolastico, faceva scuola con naturalezza. Governò una clinica tra i pini di Roma, leggendaria, e ospitò nel suo studio persone che curava e rispettava, movendosi con tatto tra simboli, immagini, archetipi, idee geometriche e fissità ironiche e magiche filtrati dall’esperienza zurighese, dalla sua stessa vita ricca, intellettuale e morale, dal vecchio amore di sua moglie Resi, dal tempo e dai tempi stagionali del suo immortale giardino di Armida, generoso donatore di fiori e piante e orizzonti marini a ogni ora del giorno e della notte. Amava la lettura e il lavoro manuale, intagliava tavolini e sedie e vasi con legno di scarto, si sporcava calzoni di flanella che sembravano arrotolati in fondo (I shall wear the bottoms of my trousers rolled, Eliot), dipingeva la materia e guidava le anime senza farsene accorgere, sorridendo soltanto.

 

Persone di cui in morte si può dire quel poco, impressioni e amore, ammirazione e affetto, perché in vita si sono scoperte ma solo fino a un certo punto, annegando nel piacere del vino, del cibo, del fuoco, del consistere e sedere assieme ogni oltranza, ogni possibile intolleranza: Ceschino era tra questi. C’è chi sa prendere le misure al suo e al tuo mondo, condurre una guerra sottile, non sanguinosa, alla stupidità sempre all’erta in ciascuno di noi: sempre lui. C’è chi sa amministrare città, natura e musica, e lascia un futuro di ricordi meravigliosi a quelli che ancora non si sono addormentati e lo hanno vegliato da vicino e da lontano: Ceschino.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.