ANSA/ UFFICIO STAMPA 

Eccellenza goliardica

Gli studenti della Normale e della Sant'Anna non sanno nemmeno insultarsi per bene

Salvatore Merlo

Altro che reprimenda: rifugiandosi nella grevità, nel turpiloquio più scemo, nel linguaggio da muro di latrina, gli iscritti dei due istituti hanno dimostrato di non essere eccellenza nemmeno nell'offendersi. Per questo, e non per altro, sarebbero da espellere tutti

Alcuni studenti della Normale e della Sant’Anna, le nostre due più prestigiose università, si sono insultati l’altro giorno a Pisa nel corso di un rituale festeggiamento goliardico a colpi di “frocio” e “finocchio” incorrendo così, lunedì, nella censura dei loro presidi. I quali in effetti oggi dovrebbero espellerli tutti, questi loro studenti. Ma non perché l’hanno fatta grossa in tempi di ddl Zan, bensì perché non l’hanno saputa fare. Indegnità intellettuale, verrebbe da dire. Rifugiandosi infatti nella grevità, nel turpiloquio più scemo, nel linguaggio da muro di latrina (“suca”), ecco che gli studenti della Normale e della Sant’Anna hanno dimostrato di non essere eccellenza nemmeno nell’insulto.

   

Insomma in quell’esercizio di padronanza della lingua che non è sempre e solo una scorciatoia del pensiero, un’espressione di malcostume o una patologia lessicale, ma al contrario può avere una sua nobiltà. Con l’aggravante – se possibile – di aver per giunta tradito l’arte dell’offesa e dello sberleffo proprio in Toscana, nella regione dell’invettiva intelligente, nella terra dei rivali Montanelli e Malaparte, i due giganti che a colpi di brillantissimi insulti hanno tirato avanti per mezzo secolo. Fino all’ultimo respiro.  “Non mi dispiace tanto di morire ancor giovane quanto piuttosto di morire prima di Montanelli”, disse Malaparte. E Montanelli, quando l’altro in effetti morì: “Non per consolarci della sua scomparsa, ma per essere proprio sinceri anche a scapito dell’umana pietà, dobbiamo dire che Curzio, morendo, ha avuto ragione”. 

  

Se le migliori giovani menti d’Italia, per inscenare accesa rivalità, riescono soltanto a dire “frocio”, ebbene c’è da preoccuparsi. Saper infatti lanciare all’indirizzo altrui l’oltraggio più adatto, scientificamente studiato e opportunamente formulato implica capacità d’ingegneria lessicale e d’intelligenza nel governo delle parole che si presume gli studenti delle università “d’eccellenza” debbano possedere. Ma evidentemente non è così.  D’Annunzio chiamava Marinetti “nullità tonante” o “cretino fosforescente”. E Marinetti definiva D’Annunzio un “Montecarlo di tutte le letterature”. Come ben si vede, l’insulto non è per forza roba da garzoni di macelleria, regressione a curva sud, ira e sputi. Ma uso tagliente, dunque competente, della lingua.

  

Gore Vidal diceva che Andy Warhol era “un genio col quoziente intellettivo di un cretino”. E Napoleone definì Talleyrand “una calza di seta riempita di fango”. Ecco. L’insulto ben fatto è quello che ti aspetteresti anche dagli studenti della Normale e della Sant’Anna di Pisa. Che invece urlano “frocio”, e così rivelano un’emergenza culturale che non andrebbe affatto sottovalutata. Eppure un tempo anche lì a Pisa s’imparava. Basta chiedere a un ex studente come Massimo D’Alema. Brunetta? “Energumeno tascabile”. Alfano? “Il delfino d’un pescecane”. Un fuoriclasse.

  

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.