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Il rave che non lo era

Vanni Santoni

Strumentalizzazioni pericolose e fake news sul free party di Valentano

Cosa è successo al confine tra Toscana, Lazio e Umbria nelle notti, e nei giorni, tra il 13 e il 18 agosto 2021? Per capirlo, al di là delle strumentalizzazioni che sono fioccate quando Gialunca Santiago, inglese di 24 anni, è annegato in un lago a qualche chilometro dal "rave di Viterbo", è opportuno cominciare a chiamare le cose col loro nome, e contestualizzarle nel più ampio campo del movimento "free tekno".

 

Se già il termine "rave" non è corretto – quello giusto è free party, letteralmente "feste libere", ma anche "feste gratuite" –, quanto si è svolto nel comune di Valentano non era un semplice free party, ma un raro teknival: un raduno di moltissime crew da tutta Europa con i loro soundsystem, che spesso in queste occasioni vengono combinati per formare "muri di casse" più grandi.

 

Come tutti gli eventi di una certa portata, aveva anche un nome proprio: Space Travel vol.2 – sì, perché un primo, molto più circoscritto, Space Travel si era svolto sempre nel Centro Italia nel 2018. Per capire perché migliaia di ragazzi siano stati disposti a mettersi in viaggio per centinaia o migliaia di chilometri verso una destinazione ancora ignota (gli organizzatori hanno rilasciato le informazioni gradualmente: prima "Italia", poi "Centro Italia", infine, nella notte del 13, quando i lavori di montaggio erano già in corso, l'ubicazione precisa), è necessario uscire dall'empasse in cui tante narrazioni lette in questi giorni si sono arenate: il teknival è un appuntamento di livello mondiale, in cui si può ascoltare da impianti di potenza prodigiosa musica techno, tribe, tekno, electro e hardcore di livello sopraffino.

 

Quando si è diffusa la notizia dell'annegamento del ragazzo, è partita una corsa a presentare il teknival come un girone infernale, senza che nessuno andasse a vedere di persona. La verità era distante da questa descrizione: come ci si poteva aspettare, lo Space Travel era un evento organizzato con significativa perizia tecnica, considerando la sua natura del tutto spontanea: gli stage erano enormi e distanziati su un'area di vari km (inconsistenti, quindi, le accuse di "assembramenti"), la qualità del suono degna dei migliori eventi legali, e il villaggio che si era formato attorno ai soundsystem presentava servizi di ogni tipo, dalla vendita di bibite alla pizza fatta nel forno a legna, dai banchetti di riduzione del danno all'artigianato. Vale anche la pena sottolineare come anche il lago fatale non fosse visibile dal luogo del rave, e che, nonostante ciò, gli organizzatori avessero avvisato più volte, con messaggi e cartelli, di non avvicinarlo.

 

Quando è partita la macchina della stigmatizzazione e delle fake news – "cani abbandonati!" "stupri!" "altri morti!" –, molte nate quando parte della stampa locale della Tuscia ha ripreso voci che circolavano in gruppi Facebook non legati al movimento, è diventato difficile effettuare valutazioni corrette su quanto stesse accadendo. Di certo, la pressione è aumentata fino al punto di persuadere gli organizzatori a intavolare una trattativa con le forze dell'ordine, che fin lì avevano monitorato la situazione scegliendo un corretto approccio di minima interferenza. La data annunciata inizialmente per la fine del teknival era lunedì 23 agosto; alla fine, dopo varie assemblee tra le principali crew organizzatrici, si è deciso che fosse meglio per tutti smontare già il 18 agosto, rinunciando al secondo finesettimana di musica, ma trovando così il tempo di ripulire l'area e di lasciare che gli ultimi partecipanti si rimettessero in auto lucidi.

 

Legittimo chiedersi: lo Space Travel era organizzato bene? Si poteva evitare la tragedia? Per fare delle valutazioni è opportuno tener conto che non si può paragonare un teknival a feste per così dire "centralizzate" come il "Bordel23" svoltosi il mese scorso a Tavolaia, con un solo sound e crew con vent'anni in media di esperienza sul campo. Un teknival con novanta crew diverse, molte dei quali non si conoscono tra loro (e alcune, se non alle prime armi, quasi), è un contesto in cui il rizoma si sfilaccia in ogni direzione, con un numero superiore di fattori di rischio dovuti alla struttura multipolare dell'evento. Altro problema, in questi casi, è sempre l’affluenza trasversale di gente di tutti i tipi, non sempre attrezzata per vivere un evento così estremo in modo responsabile.

 

Adesso, come è già accaduto più volte negli anni (qualcuno ricorderà le polemiche quando affogò un ragazzo nel lago di Bolsena, in occasione del teknival Solar Sonica del 1999: già allora si dava per agonizzante la cultura rave!), il dibattito si riazzererà, la repressione e lo stigma cresceranno, il movimento si sgonfierà per un po’: la lezione è forse che i free party, per le caratteristiche intrinseche emerse da quando non si tratta più di una nicchia iperprotetta ma di un movimento di massa, non "reggano" strutturalmente presenze oltre le poche migliaia di persone senza che ciò comporti un innalzamento critico della probabilità di incidenti gravi. Si può, ovviamente, discutere del fatto che quando muore qualcuno nell’ambito di attività socialmente accettate ma molto più letali, come l’alpinismo (150 morti l'anno in media) o il motociclismo (5000 morti l’anno), non scattano polemiche simili, ma non si può non tener conto che la natura stessa dei free party, il loro stato di eccezione (gratuiti, sorti dal basso, anarchici, provocatori, costruiti su codici di significato per lo più incomprensibili ai profani), porti con sé una naturale tendenza alla loro stigmatizzazione, e che ciò imponga ai partecipanti, foss’anche solo per la difesa della loro esistenza, un grado di responsabilità maggiore.

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