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Bob Dylan e il MeToo minus zero

Maurizio Crippa

Una presunta molestia del cantante nel 1965, riesumata via legge speciale, può essere anche vera. Ma non è reale

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"Il mio amore parla come il silenzio / senza ideali o violenza”. A quel punto del 1965 sono versi che aveva già scritto, già cantato. “Non ha bisogno di dire che lei è fedele / ma è pura come il ghiaccio, come il fuoco”. Una delle sue canzoni più famose e never ending. A quel punto più o meno del 1965 risalirebbero i fatti. “La gente porta rose / e fa continue promesse / il mio amore ride come i fiori / i regali per San Valentino non possono comprarla”.

 

Secondo i fatti, lui non portava esattamente fiori, in quel 1965 in cui abitava, o forse meglio bivaccava come tutti, al Chelsea Hotel di Manhattan, ancora ben lontano dal diventare il mito postumo di una generazione, eccetera. “Nei negozi e alle fermate / la gente parla di questo e quello / legge libri e ripete frasi / poi scrive le conclusioni sul muro”. Lui non scriveva sui muri, secondo i biografi erano i giorni in cui scriveva Blonde on Blonde, lì al Chelsea, che uscirà l’anno dopo. Love minus zero era già famosa, all’epoca presunta dei fatti. Già incisa in Bringing it all back home.

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Ma i fatti ora addotti da una signora che allora era una bambina di dodici anni (lui ne aveva il doppio, ventiquattro, e ormai da un po’ si faceva chiamare Bob Dylan) parlano di tutt’altro che di regali di San Valentino e di promesse. La donna che si chiama J. C., ora vive a Greenwich nel Connecticut e di anni ne ha sessantotto, lo ha citato davanti a un tribunale di New York, cavando fuori da un bootleg della memoria la solita brutta vecchia storia. Il periodo era la primavera del 1965, sei settimane per essere precisa, e quel ragazzo che cominciava già a essere famoso, anche agli occhi di una ragazzina di dodici anni, aveva “stretto amicizia” con lei e “stabilito una connessione emotiva”. L’amore non c’entrava niente, meno di zero, voleva “approcciarla sessualmente”. Lui non portava rose, come fa la gente, lui le regalava “alcol e droghe”. Ci furono anche minacce di violenza fisica? Certo che sì, per questo quegli avvenimenti lontani l’hanno lasciata “emotivamente danneggiata e psicologicamente ferita fino a oggi”.

 

Ora Bob Dylan ha compiuto ottant’anni, è sopravvissuto anche alla banalità di un premio Nobel e ha abbastanza mezzi e forse anche tigna, chissà se anche la voglia, per chiedere al suo avvocato di “difenderlo con forza”. Il 1965 è molto tempo fa, la bambina del Connecticut ha potuto ricordare, o così diranno, grazie a una legge inventata apposta dallo stato di New York, il Child Victims Act, che per un anno – e perché non di più? – ha consentito a persone di ogni età di denunciare gli abusi presunti subiti da bambini, anche molti anni fa. Che cosa può esserci oggi non si dirà di vero, che è troppo poco, ma di reale, nella possibile vecchia storia del Chelsea, ora che sono spariti sia il giovane cantante che la bambina? E’ l’unica domanda che sarebbe da farsi, e che sarà proibito fare. Del resto che certe canzoni di Dylan fossero piene di “insulti sessisti”, certe donne, certe femministe ma non tutte, lo dicevano già, a quel punto degli anni Sessanta. Ma allora uomini e donne ci passavano sopra, il MeToo retroattivo non soffiava ancora nel vento. “Il mio amore fa l’occhiolino, non le importa / lei sa troppo per discutere o giudicare”. MeToo minus zero.

 

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