È morto Amedeo d'Aosta, in eterna lotta con i cugini Savoia

Michele Masneri

La corsa al trono d’Italia (che non c’è) perde il più nobile dei pretendenti

Mentre tutti si struggono per le monarchie operative, e piangono retroattivamente per Diana e le sue interviste forse estorte, nessuno pensa mai ai poveri Reali senza regno, che fanno una vita spesso d’inferno.

 

E’ morto oggi Amedeo d’Aosta, capo del ramo che da qualche anno si considerava il vero, the original, erede al trono d’Italia (che non c’è). Le monarchie senza regno sono peggio delle correnti del Pd: meno roba c’è da spartire e più litigano e si moltiplicano. Il nostro “The crown” nostrano vuole infatti che l’ultimo re d’Italia, Umberto II, non avesse dato l’assenso alle nozze dell’erede Vittorio Emanuele, con la borghese Marina Doria, e dunque che quel ramo decadesse. Questa la teoria degli altri, gli Aosta; ma i Savoia  risposero: in esilio ci eravamo noi, però, mica voi (e in effetti).

 

Seguono lotte legali, a volte anche fisiche. Diatribe su etichette di vino, scazzottate. Amedeo, tutt’altra storia, era una specie di lord Mountbatten della saga, rappresentante del ramo “per bene” (gli Aosta son sempre stati eroi di guerra, finivano in campi di concentramento, erano belli e svegli tanto quanto i Savoia non ne azzeccavano una). Due format paralleli, perfetti per un “The crown” italiano. Amedeo e il suo spinoff, gli Aosta appunto, avevano scelto un format completamente diverso rispetto a quei cugini Kardashian, con villa a Ginevra dalle moquette alte un metro, elicotteri, galere, smargiassate. Amedeo aveva puntato sul format più tradizionale del nobile di campagna.

 

E, pur senza trono, e pure del ramo sbagliato, o forse proprio per questo, faceva cose da monarca. Intanto impalmare non campionesse di sci nautico ma teste almeno ducali. Aveva sposato Claudia d’Orleans, figlia del pretendente al trono (inesistente) di Francia, e poi, a matrimonio annullato (perché i Re annullano, mica divorziano come noi) aveva scelto un’altra nobildonna, di sangue non regale ma pazienza, Silvia Paternò di Spedalotto. Pure i suoi figli si sono attenuti alla regola. Alla tenuta toscana del Borro (poi venduta ai Ferragamo) si svolse lo sposalizio dell’infanta Bianca di Savoia-Aosta col conte Giberto Arrivabene Gonzaga ecc. ecc. mentre l’aspirante erede – al trono che non c’è - si chiama addirittura Aimone, con questo nome già che fa paura, serissimo, religiosissimo, fa il rappresentante della Pirelli a Mosca.

 

Ma prima apprendistato che manco Carlo d’Inghilterra: collegio navale Morosini, combattente nella Guerra del Golfo, ecc. Lui ha sposato un’altra testa coronatissima, Olga di Grecia, sua lontana cugina, e cugina naturalmente anche dei Windsor per quelle parentele greche che abbiamo imparato a conoscere col “The Crown” però originale. Il matrimonio, in un santuario sperduto greco, era stato una summa di semplicità “more nobilium”, con la sposa acconciata di coroncina di spighe di grano, altro che i diademi dei cugini Savoia. Lì i matrimoni erano stati sempre molto sciamannati: prima Marina Doria, poi l’attrice un po’ de quarta Clotilde Coureau andata in sposa a Emanuele Filiberto, che ancora non ha trovato la sua strada, tra “Ballando con le stelle” e la catena di pizza e pastasciutta “Prince of Venice” fondata a Los Angeles.  

 

Ultimamente i Savoia-Kardashian hanno annunciato tramite New York Times che faranno una riforma della monarchia (che non c’è) per permettere alla loro figlia di andar sul trono (che non c'è): lei si chiama Vittoria di Savoia, abita a Parigi, non parla una parola di italiano, alligna su Instagram in posa tipo morosa di rapper. Il cugino Aimone ha subito tuonato che tutto ciò è inammissibile. La saga anzi la serie continua (unico cedimento all’etichetta principesca, per il povero Amedeo, una  relazione extraconiugale e relativa produzione di un’erede naturale mostruosamente titolata, cui fu imposto un nome di devastante signorilità: Ginevra Maria Gabriella van Ellinkhuizen di Savoia-Aosta).

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).