Il gran tavolino /1

I Facebook Papers sono un leak inedito per tre ragioni diverse

Paola Peduzzi

Questa crisi è grande perché c’è un consenso politico inedito per colpire il social network, perché c’è una collaborazione inedita tra i media nella denuncia e perché c’è una whistleblower che si autofinanzia. Ma anche perché ci sono ora molte prove della premeditazione di Zuckerberg

Cosa dicono i Facebook Papers

In 17 anni di vita, Facebook ha affrontato whistleblower, campagne comunicative ostili, inchieste dei Parlamenti e dei media, ma per la prima volta deve affrontare tutte queste cose assieme: un attacco coordinato, dice Facebook, “una selezione di milioni di documenti interni” che “non deve in alcun modo essere utilizzata per trarre conclusioni su di noi”. Le conclusioni invece vengono tirate eccome e a coordinarle c’è Frances Haugen, ex dipendente di Facebook molto informata e soprattutto molto organizzata: è la whistleblower ma soprattutto la regista di quelli che inizialmente erano i “Facebook Files, quando la Haugen si era rivolta soltanto al Wall Street Journal, e che ora sono i “Facebook Papers”, perché la stessa Haugen ha deciso di dare a più testate accesso ai documenti, a caccia di quelli che sono stati definiti i “leftover”, gli avanzi dei Files del Wall Street Journal. La chat su Whatsapp che mette insieme queste testate, che vanno dall’Atlantic al Washington Post all’Ap e altre, si chiama: “Apparentemente siamo un consorzio adesso”. Ci sono molti musi, tra gli esclusi e tra chi è costretto a collaborare con testate rivali, ma l’effetto finale è la più grande crisi di Facebook in 17 anni. Gli ultimi leak riguardano i documenti arrivati al Congresso degli Stati Uniti editati dal legale della Haugen. Mostrano, in estrema sintesi, che gli obiettivi di crescita del social sono venuti prima di tutto, dalla sicurezza ai consigli degli esperti interni. 

 

Poiché si tratta di un materiale mastodontico, c’è chi denuncia più il dissenso interno a Facebook non ascoltato, a conferma del fatto che la strategia di Mark Zuckerberg prima-i profitti-delle-persone è deliberata e consapevole. C’è chi racconta l’effetto di questa strategia nei paesi in cui i rischi umani sono più alti, come in India o in Vietnam, ma questo non deve far pensare che nella terra d’origine di Facebook, l’America, le cose siano andate meglio: i documenti mostrano che l’allerta e le misure di contenimento anti odio e anti fake news messe in campo per le presidenziali di un anno fa sono state velocemente dismesse, e poi c’è stato l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio. C’è chi insiste sulla politica, cioè su tutto quello che Zuckerberg ha fatto per evitare di infastidire o allarmare i politici che generano traffico ma che anche poi si occupano delle eventuali regolamentazioni.

 

Adrienne LaFrance, direttrice esecutiva dell’Atlantic che ha avuto accesso ai Facebook Papers e che da anni lavora sull’estremismo online, ha sintetizzato così questo leak: “Questi documenti lasciano poco spazio ai dubbi sul ruolo cruciale di Facebook nel diffondere l’autoritarismo in America e in giro per il mondo”, che è come dire che Zuckerberg ha costruito un progetto anti democratico globale. Come molti altri, LaFrance insiste sul ruolo dei dipendenti-dissidenti di Facebook, che hanno più volte segnalato cosa stava accadendo e anche, cosa rilevante, come si potevano aggiustare le cose, ma non sono stati ascoltati: “Non siamo un’entità neutrale”, dice un dissidente interno; “Abbiamo alimentato questo fuoco per molto tempo, non possiamo stupirci se ora è fuori controllo”, dice un altro; “La storia non ci giudicherà in modo gentile”, dice ancora un altro. Questa crisi è grande perché c’è un consenso politico inedito per colpire Facebook, perché c’è una collaborazione inedita tra i media nella denuncia, perché c’è una whistleblower molto organizzata che si autofinanzia (“ho comprato criptovaluta a tempo debito”, ha detto). Ma anche perché ci sono ora molte prove della premeditazione di Zuckerberg.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi