Agosto si compie con le feste di Volturno, benefico Pater ventorum, la cui lezione è meglio imparare
Il mese augusteo culmina nella celebrazione della Vittoria (domenica scorsa) ma possiamo dire che si è compiuto sabato, giorno dedicato a Volturno (Volturnalia), nume non senza rango visto che i Patres gli assegnarono un’incarnazione sacerdotale (flamen). Molto si è discusso e si discute ancora sull’identità di Volturno, gli etruschizzanti lo vogliono appunto etrusco (Voltumna), i naturalisti lo riconducono all’omonimo fiume toscano o addirittura al Tevere. Come spesso accade, l’etimologia svia o soccorre, illude chi vi si affida senza discernimento oppure suggerisce senza dire e senza nascondere, inducendo il ricercatore a impugnare il proprio intelletto (in te lego) come in uno slancio interiore, un cambio di passo direbbero oggi i più, se non perfino un cambio di stato: dal torpore del senso comune, quella passività cognitiva di ogni giorno che finisce per “sfamare la luna”, al barbaglio che tiene dietro allo sforzo cardiaco, al genio del silenzio. Ed eccolo qui, Volturno, quel volutare caratteristico delle “nuvole che si convertono in pioggia”, del cielo sereno d’un paesaggio montano nel quale irrompe il nembo tonante, della leopardiana “quiete dopo la tempesta”. Fino all’improvviso Terrae motus, forse, che però (attenzione!) è uno stato naturale dell’astro terrestre, governato da leggi superiori tali da costringerlo a girare intorno al prpprio asse, a orbitare intorno al Sole, e talvolta a scrollarsi di dosso la polvere accumulata da colui che della Terra dovrebbe avere cura, l’uomo. Il tutto non certo per il capriccio di un astro, ma in perfetto omaggio all’armonia dell’uni-verso.
Sicché si dovrebbe piuttosto dire che Volturno agisce nell’interiore dell’uomo quando questi prende coscienza del dato di natura (il divenire) e dei suoi effetti sul dato di cultura (l’azione umana, fallibile e in questa epoca più che mai assoggettata a un dèmone desertificante). Se le cose stanno così, sempre a Volturno (in noi) è bene rivolgersi per trasformare il veleno della paura nel farmaco della conoscenza di sé stessi e del proprio rapporto con il cosmo vivente.
Infine, rivolti al Pater ventorum, non dobbiamo dimenticare i suoi uccelli ominosi: i vultures che da lui hanno tratto il nome. Furono loro, evocati sul Palatino dal Pater Romulus come un vento fatidico che virasse le sorti dell’augurium (quasi un volutare, intensivo di volvere), a indicare la via di Roma. E se è dalle loro ali dispiegate che giunge ancora un soffio liberatore, è ai loro rostri voraci che dobbiamo gettare la discordia, la cupezza, la paura, le vili ambizioni e la collera che ci rimpicciolisce.
Ecco dunque una bella lezione che giunge da Volturno, il “possente del Re dei venti” che libererà il cielo d’Italia dalle torve nuvole, preparando per le anime audaci “il volo dell’aquila”, il lucente, alato genio solare di Giove Ottimo Massimo.