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Contro mastro ciliegia

Femministe contro panchine rosse

Maurizio Crippa

Alla Sapienza un colletttivo di "facinorose" ha distrutto una panchina rossa appena inaugurata dalla rettrice Polimeni: non sono d'accordo. Si può non essere d'accordo con quel che si vuole, ma la violenza (davvero patriarcale) è tipica del fascismo

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C’era uno su X che ha scritto una cosa molto stramba, o solo stupida: “Il patriarcato è la forma che la patologia mentale ha assunto”. E forse è davvero una scemenza, ma quel che colpiva è il massimalismo apodittico, e senza troppo nascondersi minaccioso, del brocardo: se tutto quel che pare a te è riconducibile a una “patologia mentale” degli altri, il prossimo passo è il TSO obbligatorio, o l’internamento (rileggetevi Foucault: non vi approverebbe per niente). Si può pensare quel che si vuole, e dirlo anche con polemica, ma rispettando tutti. Altrimenti si scade nella violenza, in una pretesa di affermazione che diventa una forma di violenza contro lo spazio, mentale o fisico, degli altri. Ad esempio alla Sapienza di Roma la rettrice Antonella Polimeni, col sindaco Gualtieri e la vicepresidente dell’Assemblea capitolina Svetlana Celli, hanno inaugurato una panchina rossa, simbolo ben noto della lotta contro la violenza alle donne. Ma le femministe del collettivo Zaum Sapienza l’hanno smontata e buttata nella spazzatura, con un gesto maoista e prevaricatore decisamente patriarcale. Volevano significare che trovano quella panchina inutile e retorica. Ma per molte altre persone così non è. Che giustificazione hanno, le “facinorose” (Polimeni) per usare la violenza contro ciò che non garba la loro ideologia?

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