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Contro mastro ciliegia

Stare con gli ippopotami di Escobar

Maurizio Crippa

Le autorità della Colombia vorrebbero sfoltire i pericolosi e numerosi ippopotami. Ma gli ambientalisti si oppongono. Ma se sono beni della mafia, perché non chiedere a don Ciotti di occuparsene lui?

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La storia degli ippopotami di Pablo Escobar, diventati da tempo i Nemici pubblici numero 1 per le popolazioni della regione di Medellín in Colombia, è famosa, divertente ma a suo modo anche istruttiva. E’ come la storia degli orsi del Trentino trasportata nelle Ande, ma moltiplicata per numero, peso medio e pericolosità. Riassunto. Il boss del narcotraffico ne aveva un paio nel suo zoo privato, quando le forze speciali gli fecero bum bum e il suo regno crollò i bestioni fuggirono, trovarono fiumi e cibo e vissero felici. Solo che adesso sono 160, e tutt’altro che simpaticoni amici della natura: sono invece assai pericolosi (fanno 500 morti all’anno nel mondo, peggio di Escobar), distruggono l’agricoltura e l’ecosistema. La soluzione di rimandarli in Africa è complicata; sterilizzarli, pure. Non resta che fare bum bum. Così hanno deciso le autorità. Indovinate chi si oppone? Gli ambientalisti, ovvio, che come al solito dei campesinos se ne fregano, anche se l’ippopotamo è stato classificato specie infestante. Una volta, tra i paladini del mondo migliore, andava di moda farsi dare dallo Stato i beni confiscati alle mafie. Si potrebbe chiedere a don Ciotti di farsi carico anche degli ippopotami di don Pablo. Che lui, almeno, ai suoi animali ci badava.

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