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contro mastro ciliegia

Galere di Colombia

Maurizio Crippa

Le prigioni colombiane sono un buco nero, ma ne sappiamo qualcosa anche qua. Il presidente "ex guerrigliero" ha detto che sono luoghi "di vendetta e non di riabilitazione”. E anche questo lo sappiamo pure qui. Ma poi ci dimentichiamo

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Se il buon giorno si vede dal mattino, o il sole dell’avvenire dalla prima alba che spunta, Gustavo Petro, il simpatico “ex guerrigliero” appena diventato nuovo presidente della Colombia dovrebbe preoccuparsi un pochino. Perché  la “storia nuova per la Colombia, per l’America latina, per il mondo” guarda lontano, ma nel frattempo la sfiga ci vede benissimo.

  

Pedro ha appena festeggiato “il giorno della vittoria del popolo”, non ha ancora fatto in tempo a mettersi a lavorare, e uno delle prime disgrazie è capitata in una prigione, un buco nero del paese più grande, purtroppo più grande, che nemmeno i buchi neri di casa nostra.

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Un incendio durante una rivolta nel carcere nella città di Tuluá ha provocato la morte di 51 detenuti e un’altra trentina è  finita in ospedale. Pedro ha subito scritto che la Colombia ha sempre pensato al carcere come a un luogo “di vendetta e non di riabilitazione”, una storia che sappiamo anche noi, e bisogna ripensare tutta la politica carceraria da capo. E anche questo lo sappiamo pure noi. Solo che di solito ci dimentichiamo, dei dirittti che non ci tanfgono e delle cose che succedono dalle altre parti del mondo, a Tuluá come a Medilla. Però succedono.

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