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contro mastro ciliegia

Evviva l'olio di palma

Maurizio Crippa

Dopo anni di campagne, ecologiste ma anche un po' opache, ora che la guerra sta bloccando anche l'olio di girasole, punto di forza dell'Ucraina, tutti si stanno accorgendo che questo olio non è così male

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Sono tentato di affermare, qui, che una bella pizza di Briatore col patanegra a 65 euri me la mangerei volentieri, pagando s’intende. Almeno per contrastare l’indigeribile populismo pizzaiolo per il quale la pizza è povera e la sovranità appartiene a Napoli. Libera pizza in libero mercato. Ben diverso, e più serio, è il caso dell’olio di palma, che sta tornando alla grande e merita un evviva.

 

Negli scorsi anni contro questo benefico alimento è stata condotta una guerra ideologica, e anche un po’ opaca, basata sul fatto che le coltivazioni intensive, asiatiche, distruggevano le foreste pluviali. Invano aziende come Nestlé o Ferrero avevano tentato di spiegare che esistono anche le piantagioni controllate, ma niente. Scrivere “senza olio di palma” sulla scatola dei biscotti divenne un must della correctness. Ora, leggiamo sull’Occidentale, la guerra sta bloccando anche i semi di girasole che arrivavano dall’Ucraina, e a un tratto l’olio di palma è tornato commestibile. Come il gas nigeriano. Alla faccia anche dei tanti, falsi miti su presunti danni alla salute fatti circolare in passato. Secondo me l’olio di palma è persino buono. Vogliamo  tornare al più  presto a poter usare i magnifici girasoli dell’Ucraina, alla faccia di quello là. Però, ogni tanto, la guerra uccide anche le balle.

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