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contro mastro ciliegia

Il posto dov'è Elena, e forse un giorno sarà Martina

Maurizio Crippa

Non c'è troppo da dire sul caso della bambina uccisa da sua mamma in Sicilia. La maternità è una cosa così impossibile a volte da vivere che esplode in un mistero. Ma il luogo dove adesso è Elena è bello, e forse un giorno arriverà anche sua mamma

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Della tragedia di Elena Del Pozzo, la bambina di quattro anni coi riccioli sulla fronte uccisa a coltellate a Mascalucia, nella campagna di Catania, da sua madre Martina, 23 anni, che era appena andata a prenderla all’asilo, ci si può solo augurare di non dover leggere oggi troppe banalità, troppe psicologie e sociologie. Basta la pena. Martina ha inventato l’alibi di un minuto, poi ha detto l’unica cosa dicibile: “Non sapevo quel che facevo”.

  

Quando a uccidere sono i padri, anche loro di solito non lo sanno quel che fanno, ma è come più normale dire: l’orco, il patriarcato. Quando è una madre a straziare la carne che ha fatto nascere non c’è niente da dire che già non si sappia, e che smentisce nello sgomento tutte le filosofie sulle donne: che la maternità è una cosa così intima, così impossibile da dire e vivere, che a volte esplode, finisce male. Resta solo da sperare che almeno sia andata così, che Elena non si sia resa conto di quel che le accadeva. Non lo poteva sapere neanche lei, “quel che faceva”.

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Resta solo il pensiero, non è molto ma è vero, che ora Elena è in luogo bello. Un luogo dove magari, un giorno, incontrerà di nuovo sua mamma Martina. Perché “fine pena mai” è una orribile espressione che usano gli uomini qui sulla terra. Ma là dove vanno le Elene e le Martine, la pena invece finisce.

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