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contro mastro ciliegia

Nadal e la cognizione del dolore

Maurizio Crippa

Non sappiamo se sia vero quel che ha detto il professor Brooks a Trento, che "non possiamo essere felici se evitiamo il dolore, perché il significato della vita emerge dalla sofferenza". Ma ci sono le storie incredibili di sportivi e di dolori volontariamente domati: Baggio, Van Basten, Sofia Goggia. il dolore forse non rende felici, ma aiuta a vincere

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Non eravamo al festival di Trento per poterci fare un’opinione dal vivo delle teorie scientifiche del professor Arthur Brooks della Harvard business school, nonché della Harvard Kennedy school, a proposito della cognizione del dolore: “L’errore che fanno molti, soprattutto i giovani, è evitare la sofferenza. Ma non possiamo essere felici se evitiamo il dolore, perché il significato della vita, il purpose, emerge dalla sofferenza. Quindi il segreto per la felicità è sperimentare prima l’infelicità”. Verò è che persino la teologia del dolore come succedaneo dell’ascesi ha perduto molti punti, negli ultimi decenni. Non sapremmo dunque giudicare la veridicità della convinzione, del prof.

Ciò su cui ci sentiremmo di scommettere, invece, è che è persino Rafa Nadal farebbe a volentieri a meno di quel dolore lancinante al piede – sindrome di Mueller-Weiss – che lo tormenta da sempre (un sempre lunghissimo). Eppure la cosa incredibile, e che rendeva interessante persino la noiosissima finale del Roland Garros di domenica, è il pensiero del dominio, di una convivenza col dolore che tutti quanti riteniamo impossibile. Eppure, per stare nel perimetro morale di un dolore volontario, molti dei più grandi sportivi del mondo lo sono diventati attraverso il dominio del dolore: Nadal, ma anche Roby Baggio e le sue ginocchia, e il ginocchio di Ibra e di Sofia Goggia, o il piede di Van Basten. Il dolore non rende felici, ma accipicchia se rende vincenti.

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