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Contro mastro ciliegia

Muccino o la suscettibilità

Maurizio Crippa

Bei tempi quando a Hollywood i registi se ne fregavano della critica. Invece Gabriele Muccino ha sbroccato con la giuria dei David di Donatello: "Questa ennesima volta (è dal 2003 che snobbate il mio lavoro), l’avete fatta grossa". Manco Marianna Madia quando il Pd preferisce Serracchiani

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"La critica ha stroncato il mio film: andrò in banca in lacrime, quando porterò l’incasso”. Era la proverbiale battuta di quando a Hollywood i registi sapevano fare il loro mestiere e non erano mai suscettibili. Di suscettibilità non osiamo nemmeno parlare, è recinto sacro di @lasoncini. Però, ad adiuvandum, c’è questo exemplum che fa ridere. Gabriele Muccino si è molto risentito perché i giudici dei David di Donatello non hanno valorizzato a dovere, tipo miglior film, la sua ultima creatura. E ha sbroccato come una Marianna Madia qualsiasi: “Diciamocelo, cari giurati del @PremiDavid: questa ennesima volta (è dal 2003 che snobbate il mio lavoro), l’avete fatta grossa. A perdere non sono io, ma la vostra credibilità, smarrita peraltro da tempo”. In effetti, dal 2003, diciotto anni. Per dire: Draghi ancora non era manco a Bankitalia. Così, ferito nell’onore come Mimì Metallurgico, se l’è presa persino coi rivali, i fratelli D’Innocenzo: “Sto provando a guardare da stamattina ‘Favolacce’. Non lo sono ancora riuscito a finire. Sarò poco intelligente o cinefilo per comprenderne la grandezza?”. E infine: “Se posso dirla tutta e fino in fondo, tutto questo politicamente corretto, è la tomba dell’arte”. Piera Detassis si sarà messa a piangere, come Debora Serracchiani nelle sue migliori interpretazioni. 

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