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contro mastro ciliegia

La fine della parolaccia "resilienza"

Maurizio Crippa

"Come si dice oggi", ha detto Draghi nell'usarla. Come a scusarsi della caduta di stile e di linguaggio. E ha rottamato un termine che, usato fuori contesto per sembrare aggiornati, è solo una insopportabile cacofonia

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Non trovarsi d’accordo col deputato Vittorio Sgarbi, anche senza intenzione, è sempre una consolazione. Il critico ha detto che non voterà la fiducia a Draghi perché “ha detto dieci volte ‘resilienza’, un accomodamento alle mode insopportabile”. A parte che secondo Rep. le volte sono nove, ma chi ha sta a contarle?, e in alcuni casi era atto dovuto, per via di quell’acronimo, Pnrr, Programma di ripresa e resilienza, Draghi, quasi a scusarsi, ha aggiunto a  braccio un “come si dice oggi”. Un inciso, sette sillabe, che dice tutto di uno stile. Ha sotterrato per sempre questa parola tecnica scientifica, ma che usata a schiovere fuori contesto, nella convinzione che sia un sinonimo aggiornato di resistenza, è soltanto finto intelligente e cacofonica. Da troppo tempo è diventata, nell’uso improprio, una parola fissa in bocca ai giornalisti. Una parola prezzemolo, come dicono i linguisti, buttata a caso. E dai media è poi colata, come la colatura di alici, sulle bocche del popolo. Così che in ogni bar c’è un avventore sobrio che spiega, come un ubriaco, che ci vuole resilienza. Pure la letteratura resiliente hanno inventato. Gesù. “Come si dice oggi”. L’unica concessione fatta alla sciatteria dei media e della politica e degli italiani: conosco anche il vostro linguaggio, ma eviterò di usarlo. Fiducia. 

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