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Contro Mastro Ciliegia

Il #MeToo dei vicini di casa di Trump

Maurizio Crippa

Ora che l'hanno abbandonato proprio tutti, a parte forse i retequattristi, e l'ex presidente deve fare i bagagli, spuntano quelli del calcio dell'asino. Ad Atlantic City c'è un'asta per abbattere un suo ex casino e a Mar-a-Lago i vicini non lo vogliono tra i piedi. Ma prima dove stavano, tutti questi maramaldi? 

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Ora che finalmente la data del trasloco di Trump dalla Casa Bianca è decisa; ora che lo hanno mollato tutti, compresa la “sua” Corte Suprema; ora che anche gli ultimi amici si sono sciolti al sole come il rimmel sulla ghirba di Rudy Giuliani; ora che tutti hanno riconosciuto la vittoria di Sleepy Joe, tranne i retequattristi, Salvini e la Meloni. Ora è il momento del calcio dell’asino, o potremmo dire del #MeToo del trumpismo: nel senso di quelli che arrivano fuori tempo massimo a deporre il loro obolo di disgusto.

 

Tipo il sindaco di Atlantic City, che ha deciso di mettere all’asta e trasformare in uno show il “diritto” di premere il bottone che farà esplodere l’ex casinò Trump Plaza,  inaugurato nel 1984 e destinato alla demolizione dopo essere finito in malandato disuso, come manco la sede della Casaleggio & soci. E pare ci sia la corsa, tra i cittadini forse in cerca di una riverniciatura dem, a chi offre di più per il botto. O tipo i vicini di casa di Mar-a-Lago, il buen retiro che The Donald s’era fatto a Palm Beach e che ora gli torna utile per sfangare la disoccupazione. Ma i vicini non lo vogliono. E impugnano un cavillo secondo cui, essendo il luogo un club privato, Trump ci può dimorare per non più di 21 giorni all’anno. I vicini di casa sono una cosa noiosa e insidiosa, come sapeva bene John Belushi. Ma quelli che si accorgono del fastidio quando il coinquilino cade in disgrazia, fanno un po’ ridere. Sono manovre goffe e con una dose superflua di maramaldismo un tanto al chilo. Ma prima dov’erano? 

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